Recensione: Battle Hymns MMXI

Di Mauro Gelsomini - 10 Gennaio 2011 - 0:00
Battle Hymns MMXI
Band: Manowar
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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30

C’erano una volta i Manowar, ventinove anni fa, per l’esattezza.
Oggi esiste “il prodotto” (vedi recensione del DVD Hell On Earth V per i riferimenti).
Inutile nasconderlo: molti di noi sono stati in passato – ebbene sì, l’età sta impietosamente avanzando anche per voi, prendetene atto – fan sfegatati del combo americano più chiacchierato della storia dell’Heavy Metal, e mai e poi mai avrebbero scommesso una “lira”, visti i tempi, sulla possibilità che la nostra fede incrollabile vacillasse a tal punto da temere, quasi, una nuova uscita dei nostri beniamini di pelo mutandati.
Ebbene, questo non succederà, perché, torniamo a ripetere, non parliamo qui di quella band leggendaria, in grado di sfornare dischi che fecero la storia del nostro amato genere, ma della sua incarnazione terrena, venale oseremmo dire, se ci passate il termine.
Dunque, è il caso di rinnovare le critiche già mosse in occasione delle precedenti “operazioni”, come la già citata ennesima puntata del circo itinerante chiamato a seconda delle occasioni Magic Circle Festival o Manowar quellochevipare Live (Gods Of War Live, del 2007).

Sul banco degli imputati si accomoda la riedizione di quel debut, “Battle Hymns“, che, a detta di Mr. DeMaio, aveva tanto bisogno di un ammodernamento dal punto di vista del sound: le tecnologie moderne avrebbero sicuramente riportato alla luce il tesoro, tirandolo a lustro per risplendere ai bagliori dei flash, leggi “adattandolo ai moderni sistemi di riproduzione digitale, ovvero mp3 ultracompressi in lettori da pic-nic muniti di imprescindibile tasto skip”.
Tralasciando l’effettiva quanto discutibile necessità per “Battle Hymns” di essere riportato alla luce – siamo certi che le nostre/vostre copie originali in vinile siano tutt’altro che dimenticate e vengano gelosamente custodite e periodicamente “rispolverate” – ricordiamo che il tentativo era stato già intrapreso nel 2001, quando fu pubblicato un opinabile remaster, la cosidetta “silver” edition, che interessò col suo artwork più i nostalgici di certe schiere politiche che i fan dei Manowar e dell’heavy metal in genere.

Naturalmente un remaster sarebbe stato troppo poco per accontentare DeMaio e compagni, che si sono dedicati anima e corpo alla registrazione ex-novo del dischetto, e manco a farlo apposta il nuovo artwork suggerisce il miglioramento (una “gold” edition? Cosa ci dobbiamo aspettare nel 2020 per la “platinum”?), tuttavia sono ben altri i cambiamenti rispetto al 1982, a partire dalla line-up; si tratta della prima studio release per Joey DeMaio, Eric Adams, Karl Logan e il redivivo Donnie Hamzik, nella band unicamente per quel fortunato e mitico debut album, oggi subentrato a Scott Columbus, dopo il recente benservito.
Karl Logan, da sempre inseguito come un’ombra dalla figura, amatissima dai fan, di Ross The Boss, non è nuovo alla rivisitazione delle parti del suo esimio collega. Con buona personalità le aveva già fatte sue fin dalle prime apparizioni live, ma su disco il responso è molto più impietoso: il tapping e gli sweep asfissianti del “frangettato” chitarrista appaiono totalmente fuori luogo se confrontati con i soli talvolta imperfetti, ma pieni di passione, di Ross The Boss. Per giunta gli stessi suoni scelti su disco da Logan, decisamente più sintetici, non fanno altro che amplificare questa sensazione.

Ed Eric Adams? Giù la maschera, sappiamo tutti che da tempo canta come se avesse una pistola puntata alle spalle, ma mentre dal vivo l’effetto può essere adrenalinico, su composizioni come “Dark Avenger” – provate a confrontare i due legati centrali, per escursione, potenza e pulizia, tra le due versioni – o la stessa titletrack è un pugno nello stomaco.

Lo stesso DeMaio non perde tempo a migliorarsi nella sua “William’s Tale“, ricalcando gli stessi errori – dei peccatucci veniali che per l’originale definiremmo quasi folkloritistici – di trent’anni prima.
Come perdonare, infine, la sostituzione della voce di Orson Welles su “Dark Avenger” con quella di Christoper Lee, che in età così avanzata ha deciso di votarsi all’heavy metal (cfr. Christopher Lee – Charlemagne – By The Sword And The Cross)?

Basteranno le versioni dal vivo, quali bonus track, di “Death Tone” e “Fast Taker“, registrate manco a farlo apposta durante il tour U.S.A. di Battle Hymns nell’estate di fuoco 1982 a risollevare le sorti di questa assurda release? Secondo noi no.
Cerchiamo di restituire ai fan il rispetto che (forse) meritano, almeno con una recensione.

Discutine sul forum, nel topic ufficiale sui Manowar!

Tracklist:

  1. Death Tone
  2. Metal Daze
  3. Fast Taker
  4. Shell Shock
  5. Manowar
  6. Dark Avenger
  7. William’s Tale
  8. Battle Hymn
  9. Fast Taker (bonus track live)
  10. Death Tone (bonus track live)

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