Recensione: Battle Metal
Esplosi dal nulla come un fungo dopo la pioggia, i Turisas hanno iniziato a far parlare di loro praticamente fin dal primo momento d’entrata nella scena musicale europea. A guisa di un esercito in piena guerra, il quintetto solleva le proprie torce dalle gelide terre finlandesi, spargendo una luce tanto intensa da essere percepita a colpo sicuro nientemeno che da Century Media, che ha deciso nella scorsa primavera di accogliere sotto le proprie ali l’intera legione di Battle Metal.
Non molto interessante, a dire il vero, la genesi di quest’album. L’idea nacque poco meno di due anni fa, quando i Turisas avevano ancora all’attivo un demo, “The Heart of Turisas” già promettente di suo. Durante il parto delle 12 tracce che compongono questo carme bellico sono accaduti i soliti incidenti di percorso, tra studi di registrazione difficili da prenotare e coordinazione dei membri a volte complessa. Alla fine, con un certo ritardo, l’album investì l’Europa riscuotendo una gran quantità di commenti entusiasti, contrapposti a una minoranza di giudizi velenosi da parte di quei metallari che non ritengono dignitosa e giustificabile tanta esaltazione: lo sterminato esercito di Battle Metal ha dunque vinto la sua guerra? La risposta l’avremo osservando attentamente lo schieramento sul campo di battaglia.
A prima occhiata, la prima linea assomiglia a un power metal super-pomposo di matrice nordica, con chiari riferimenti ai vari eventi bellici che hanno sconvolto la Scandinavia nel corso della storia. Occhio però, perché quando parlo di pomposo intendo dire proprio “in gran spolvero”: chitarre grasse, possenti, profonde, drammatiche, lavori di basso estenuanti, percussioni di tutti i tipi, largo uso di tempi e controtempi, di timpani e percussioni aggiuntive, uso continuo di violini, violoncelli, viole, e sterminati cori epici di imponenza davvero devastante. E se qualcuno se lo sta domandando, beh, sì lo posso confermare: nella prima linea alcuni guerrieri brandiscono spade di smeraldo, in omaggio a quel power barocco rhapsodiano che si respira di tanto in tanto tra i righi del farcito pentagramma di Battle Metal.
In buona sostanza, quest’album suona esattamente ciò che promette: Battle Metal. Se mai esistesse un sottogenere con questo nome, probabilmente questo disco ne rappresenterebbe stendardo e blasone.
Da bravo esercito nordico, i Turisas non mancano di presentare agli ascoltatori una gran quantità di guarnigioni diverse tra loro, in continuo scambio durante ogni traccia, tutto al solo scopo di rendere l’ascolto di quest’opera molto più interessante e appassionante di tanti altri album del genere, primo fra tutti il povero Iron degli Ensiferum, involontariamente diretto concorrente di questo Battle Metal.
Oltre a possedere un cospicuo e talentuoso schieramento di mezzi propri, l’esercito dei Turisas vanta anche diverse armate straniere che non fanno altro che aumentare la capacità di impatto di Battle Metal: come non percepire in mezzo al frastuono la larghissima ispirazione a Valdr Galga e Urkraft dei Thyrfing (palesi in Among Ancestors, il cui sempiterno organo Hammond recita parole già scritte in passato), come non percepirvi strali degli Ensiferum di Ensiferum, dei Moonsorrow di Kivenkantaja, dei Bal-Sagoth più esagerati o dei Finntroll più scanzonati. Eppure, il risultato è tutto fuorché un plagio: la composizione appare ricca, emozionante, a tratti allegra e a tratti drammatica, tutto al servizio di un ascolto il più tumultuoso possibile, che coglie l’ascoltatore continuamente di sorpresa.
Il sole sorge sul campo di battaglia con “Victoriae & Triumphi Dominus“… i suoi raggi illuminano migliaia di teste già schierate verso il nemico, e un imperioso, straziante coro maschile e femminile si erge su un tappeto di tastiere di enorme potenza atmosferica, cantando inni di guerra in un latino leggermente stentato, finché di colpo tali voci non indugiano, lasciando al vento gli ultimi secondi per fischiare indisturbato prima della grande carica di “As Torches Rise“. Organo Hammond in primissimo piano, tappeto di chitarre e tastiere, percussioni a mille, parte la canzone e il cantato pulito di Warlord Nygård spezza l’aria come una nube di frecce: è il caos di Valdr Galga, è il caos di Iron: voci di campo si rincorrono, grevi cori si odono in lontananza, mentre la canzone lascia spazio a intermezzi di tutti i tipi, tra un saltellare di violini, un indugiare tenebroso di tastiere, e una cavalcata dal sapore dichiaratamente heavy. Alte le torce, viene incoronata la title track, “Battle Metal“. Sapientemente orchestrata da un riff estremamente catchy, la canzone si solleva con un cantato tremendamente reminiscente di Odin Owns Ye All, senza inganno, sembra quasi di risentire gli Einherjer d’annata migliore, mentre i cori scandiscono e infarciscono il cantato riportando alla memoria i tempi di Far Far North, tra fulmini che schiantano al suolo ed eserciti che battono ripetutamente il passo sulla terra intrisa di sangue. “The Land Of Hope And Glory” prosegue il trend bellico della precedente, con un inizio quasi industrial coadiuvato dal solito coro maschile, che tenta di accogliere sonorità quasi orientali, il tutto sempre al servizio dell’epicità più spasmodica e luminosa. Interessante il ruolo del violino, che in questa canzone funge da colonna portante, scandendo i tempi del cantato in modo sempre più serrato, fino a sfociare in “The Messenger“, canzone di intermezzo che risponde ai canoni più classici del power d’alto livello, con una leggiadra intromissione di un’eterea vocalist femminile e un breve pezzo d’arpa “metal”, suonata con isterìa e un certo, malato, gusto musicale.
“One More” ci viene offerta, e one more ne ascoltiamo, rapiti da una intro medievaleggiante, da taverna tranquilla, in uno dei tanti villaggi i cui uomini sono spariti, lontani, tra le legioni del nord, a combattere nel nome dei Turisas. Una traccia tranquilla, quasi una ballad, in cui ancora una volta il violino ha un ruolo cruciale nello svolgimento dei fraseggi musicali. Peculiare, interessante, piagata dall’organo Hammond che riporta alla testa continuamente quel dannato mix di Valdr Galga e Far Far North, come un fantasma senza riposo. “Midnight Sunrise” si candida probabilmente come traccia più gradita dal pubblico, dotata com’è di grande equilibrio compositivo, emotivo e strumentale. L’inizio può cogliere di sorpresa, vista la similitudine con Hate Crew Deathroll dei bimbi di Bodom, ma per fortuna dalla grande band finlandese è stato semplicemente acquisito l’incipit maniacale, proseguendo poi nella classica forma super-epica di marchio Turisas, alla quale si aggiunge stavolta una fisarmonica che ha scritto “Finntroll” a chiare lettere sul manico di legno. Sicuramente è una delle canzoni più efficaci dell’intero album, peccato però che sia piagata da un insolito strumento che assomiglia allo squillo di un telefono digitale, che la rende tanto peculiare quanto decisamente sgradevole. Per fortuna gli ottimi riff riverberati di metà canzone riportano la mente alle indistinte lontananze dei campi di battaglia ai quali appartiene la seguente traccia, “Among Ancestors“. Canzone ben costruita, omaggio palese a Valdr Galga, al quale però sono stati aggiunti dei cori mostruosi e un cantato che non si discosta molto dagli standard intrapresi nella prima metà dell’album. Ottimo il finale, per me vera svolta dell’album: si odono rumori debolissimi di una folla che se la diverte davanti a una gran quantità di boccali di birra, fino all’esplosione folk di “Sahti-Waari“, un approccio heavy di ottima matrice Korpiklaani, che in grande allegria trascina l’ascoltatore recalcitrante in una bettola di paese piena fino all’inverosimile di soldati che festeggiano la vittoria contro il nemico. Dopo appena 3 minuti la festa è terminata, e un breve accenno parlato, “Prologue for R.R.R.” ci riporta nei temibili campi di battaglia. “Rex Regi Rebellis” conquista quindi il campo, e riprende in chiave più cavalleresca i riff utilizzati nelle prime canzoni e li getta sulla terra, dipingendo immense file di militari in marcia verso l’ennesima battaglia. Se le altre canzoni erano la fanteria, questa la considererei una carica di cavalleria: l’orecchio è aggredito da un sapiente amalgama di parti tranquille, parti furiose, parti di un’intensa drammaticità funerea, e parti in cui i suoni delle battaglie e dei cori militari soffocano il commento musicale, relegandolo a semplice briglia emozionale.
Il sussurro finale di tanta potenza è designato a “Katuman Kaiku“, un tranquillo tramonto in un cielo limpido illumina il campo di battaglia ingombro di cadaveri, lance spezzate e di donne che camminano pietose tra la scena del massacro cercando le spoglie dei propri uomini.
Coperti di pelli, armati di spade, fradici di sangue e furiosi come orsi, i Turisas hanno vestito il proprio album di atmosfere selvagge, divise tra il tumulto della battaglia e il rigore degli schieramenti militari: alla luce di quanto detto durante lo scorrimento delle canzoni, molti avranno già capito di che pasta è fatto quest’album, e già si capisce molti lo ameranno alla follia, e altri lo odieranno senza mezzi termini, giudicandolo l’ennesimo “trallallà”. È innegabile però la sapienza in fase compositiva e di realizzazione, e stento a credere che questo sia un primo album. Eppure dalla Finlandia ormai bisogna aspettarsi una tale proliferazione di artisti con gli attributi al posto giusto.
Gli amanti del viking-power pomposo spezzaossa già l’avranno acquistato (e le foto del libretto non ve lo faranno rimpiangere!), gli altri saranno forse spaventati da tanti paragoni pericolosi come quello dei Rhapsody: potete anche pensarci quanto volete, ma ricordate che chi indugia in battaglia è un uomo morto.
Tracklist:
01 Victoriae & Triumphi Dominus
02 As Torches Rise
03 Battle Metal
04 The Land Of Hope And Glory
05 The Messenger
06 One More
07 Midnight Sunrise
08 Among Ancestors
09 Sahti-Waari
10 Prologue for R.R.R.
11. Rex Regi Rebellis
12. Katuman Kaiku