Recensione: BattleZone
Come lo vedreste un disco di hard rock potentissimo, dalla produzione cristallina e scintillante, con sonorità che mettono assieme la tecnica ed il gusto per il songwriting di un Joe Satriani, l’eleganza ed il vigore dei Toto di “The Seventh One” e una voce che svaria da Joseph Williams a Michael Sweet? Bene? Perfetto, ho il disco che fa per voi. E’ la nuova (e prima) fatica del duo delle meraviglie Marc Sherer (già compare di Jim Peterik dei Survivor e Pride Of Lions) e Jennifer Batten, regina delle sei corde sulla quale, se siete a digiuno, sarebbe meglio andare a darsi una ripassata poiché, al di là dell’indiscutibile talento, in carriera ha inanellato ottimi album solisti tutti da recuperare e collaborazioni varie e prestigiose (Michael Jackson, Michael Sembello, Carl Anderson, Carmine Appice, Jeff Beck, Bulldozer, etc). “BattleZone” pare sputato fuori da una macchina del tempo settata sugli anni ’80, ma fa leva su una produzione assolutamente attuale che rende giustizia a sonorità che in quel decennio e in qualche caso sono rimaste stritolate da ottimi album che però non godevano di una adeguata valorizzazione alla consolle degli ingegneri del suono.
Siamo nell’ambito dell’hard rock, squillante e vigoroso quanto volete, ma sempre rock, senza praticamente mai – o quasi mai – sconfinare nell’heavy. Il chitarrismo della Batten a tratti emerge con prepotenza (naturalmente anche e soprattutto in fase di solos), altrimenti “pare” limitarsi a tracciare riff portanti in background, dico “pare” perché a ben sentire siamo al cospetto di strofe sempre tonanti e poderose. Ciò che proprio non cala mai in questo lavoro è il tasso di adrenalina, anche laddove la canzone non pigia eccessivamente sull’acceleratore. Non nego che qualche sferzata ritmica in più magari l’avrei pure gradita, ma tutto sommato l’alchimia degli elementi va bene così, ha un suo equilibrio, un suo bilanciamento, la tracklist sta in piedi, corre e pedala con maestria e gran padronanza dei chiaroscuri. Dei nomi citati in apertura di recensione Scherer e Batten prendono il meglio e lo esaltano secondo le proprie corde (rispettivamente vocali ed elettriche).
La crema della crema di “BattleZone” – gli highlights – risiede nella prima metà dell’album, con una doppietta iniziale (“Crazy Love“, “Rough Diamond“) che incanta e le validissime “What Do You Really Think“, “The Sound Of Your Voice“, “Battle Zone” a seguire. Poi un leggero assestamento sopraggiunge ma nulla che possa eccessivamente impensierire l’ascoltatore, sempre e comunque carezzato da un sound estremamente arioso, pomposo, raffinato ed al contempo energizzante. Vanno via come acqua fresca questi 50 minuti circa di musica, grazie alle doti di potenza e precisione della Batten, grazie alla morbidezza vellutata della timbrica di Scherer, che in più frangenti ci catapulta come detto tra Toto e Stryper, e grazie anche alla sterminata platea di guest e session member che affollano la line-up che ha accompagnato la coppia in sala d’incisione (e che potete scorrere tra le note informative della recensione). Né va sottovalutato l’apporto in fase di scrittura di Peterik, che firma 8 degli 11 pezzi in scaletta. Aggiungeteci il sax in “The Harder I Try” (altro marchio imprescindibile degli anni ’80) ed un po’ di altre suggestioni a vario titolo rispondenti ai nomi di Night Ranger, Foreigner, Giant ed ovviamente Survivor, ed avrete il cocktail perfetto. Assolutamente niente di nuovo in questi solchi, ma fatto benissimo. Ad averne di talenti del genere che “semplicemente” si mettono al servizio della (buona) musica.
Marco Tripodi