Recensione: Beast
Quinto attacco dei Despised Icon.
“Beast”.
Titolo più che appropriato, per un album assolutamente devastante. Bestiale, appunto. Aggressivo all’inverosimile. Chirurgico. Perfetto. Spiccatamente, definitivamente *-core.
Death, core.
Il sestetto di Montreal fa cardine sulla sua travolgente abilità tecnica, per dare alla vita dieci-canzoni-dieci assolutamente devastanti – a parte i due intermezzi ambient/orchestrali ‘Dedicated to Extinction’ e ‘Doomed’. L’utilizzo della perizia strumentale, a livelli quasi inumani per quanto riguarda i super-stoppati riff delle chitarre, non serve per l’autocompiacimento. Al contrario, è in subordine alla volontà di lasciare il segno con la forza delle song. Forza erculea, spaventosa, senza fine. Che si rivela sia nei violentissimi passaggi al blast-beats (‘Drapeau Noir’), sia nei vertiginosi breakdown spaccaossa (‘Inner Demons’).
Spavento, paura, terrore. Questo, regala l’immediata empatia con “Beast”: i quebecchesi pare abbiano in sé una dose di energia indefinita. Non c’è momento di pausa, di calo di tensione, di rilassatezza. Perché non c’è solo la sezione meramente strumentale, a spaccare. Ci sono anche Steve Marois e Alexandre Erian. Due cantori atipici: uno, matto come un cavallo; l’altro, pazzo come un cappellaio. Assieme, ghiacciano il sangue nelle vene per la loro indescrivibile aggressività. Screaming, hars vocals, inhale. Suinaggi, pure. Sono le linee vocali che caratterizzano definitivamente il sound dell’ensemble delle Giubbe Rosse. Linee vocali durissime, ma duttili, flessibili, che si adattano come un madido sudario allo scheletro, anzi alla spaventosa muraglia di suono eretta dai due formidabili (‘Grind Forever’, ‘One Last Martini’) chitarristi Éric Jarrin e Ben Landreville, dal basso rombante e cordoso di Sebastien Piché e, ultimo ma non ultimo, dal mobilissimo drumming di Alexandre Pelletier che, probabilmente, non tiene il medesimo tipo di ritmo per più di due secondi (‘Bad Vibes’), mantenendo sempre e comunque la via maestra, da indicare costantemente ai suoi compagni.
Ovviamente i Despised Icon, dall’alto della loro esperienza – quasi quindici anni di carriera – , e della loro maturità artistica, difficilmente tendono a uscire da un cliché consolidatosi nel corso del tempo. Deathcore molto -*core, certo, ma sempre rigorosamente entro i canoni stilistici da loro stessi fissati nel corso dei lustri. Tuttavia, quando il livello tecnico/artistico è fantascientifico, come qui, ogni discorso sulla teoria dell’evoluzionismo può anche andare a farsi benedire.
In ambito deathcore… estremo, infatti, “Beast” è, al momento, il massimo possibile che una band di esseri umani riesca a concepire e a suonare. Con quella minuziosità a 360° che, al momento, solo i Nostri pare siano in grado di raggiungere. Come maneggiare il nucleo di un reattore nucleare con il bisturi, insomma. E proprio ‘Best’, la title-track, pare essere la summa di tutta il mostruoso, inarrestabile, dirompente, deflagrante spirito vitale che alimenta le anime, le menti, il cuore dei Despised Icon.
Impeccabili loro, impeccabile “Beast”.
Daniele D’Adamo