Recensione: Beast Reality
Il cantante dei City of Thieves è un noto giocatore di poker londinese: club fumosi, luci artificiali, occhiali scuri, bicchieri di whisky, il tutto sul costante limite del rischio.
Data la premessa, non vi attenderete che Beast Reality sia un disco AOR o Prog. Non vi siete sbagliati: qui si tratta di grasso e ignorante heavy rock tra AC/DC più datati, The Answer e Rose Tattoo, a tratti imbastarditi con suoni più cupi del solito.
L’effetto è piacevole alle orecchie dell’hard rocker incallito. Il riffone di Reality Bites sarà pure canonicissimo, ma il groove c’è tutto e il ritornello scoppia tanto gradito quanto prevedibile. Più rock ‘n’ roll sono Fuel and Alcohol e Buzzed Up City, quest’ultima impreziosita da un refrain di valore, benché decisamente debitore di Young e soci.
Lay Me to Waste e Damage ci ricordano che siamo comunque nel 2018 e qualche concessione ai suoni più contemporanei va anche data, mentre Incinerator è il classico blues malato, che la voce di Jamie Lailey regge alla grande.
E poi c’è Animal, che davvero pare saltata fuori dal manuale dell’hard rock sporco; ed è felice di esserlo. Più metalliche (e forse interessanti), invece, sono Right to Silence e Born to be Great. Infine, Something of Nothing patisce un poco di semplicismo modernista e non rappresenta a dovere il vero cuore dei City of Thieves, che è destinato a battere nelle bettole delle periferie inglesi e non certo nelle classifiche patinate.
Insomma, Beast Reality scorre bene: vi consentirà di passare una piacevole quarantina di minuti. Soprattutto, è un disco onesto (e si sente): non tornerà così di frequente nelle vostre orecchie, ma ci si può accontentare.