Recensione: Beasts of the Temple of Satan
I Crurifragium sono statunitensi. Di Seattle. Luoghi freddi, cupi, grigi. L’ideale, per chi intenda immolare la propria vita musicale sull’altare di sangue del black metal.
E, così, difatti, è.
Anzi, dovrebbe. Il condizionale è d’obbligo poiché probabilmente nemmeno loro, i Crurifragium, hanno idea di cosa esca dai loro strumenti, dalle loro ugole, dalle loro mani e dai loro piedi. Presumibilmente si è innanzi a una forma di metal estremo mai udito. Qualcosa di infinitamente rozzo, arcaico, primordiale. Al cui cospetto, per esempio, gli Hellhammer di “Apocalyptic Raids” (1984) possono sembrare una formazione di raffinato progressive metal.
Iterare l’ascolto di “Beasts of the Temple of Satan”, debut-album dei quattro scellerati americani, non serve a nulla. Dalla spaventosa ‘Behold (Evangelation)’, rabbiosa sequenza di rabbrividenti urla al contrario, provenienti dalla zona più oscura dell’inferno, a ‘The Horns of Power’, chiusura demoniaca scandita da sguaiati blast-beats e versi orripilanti che, davvero, paiono non essere umani ma bestiali, è assolutamente impossibile comprendere qualcosa. L’impatto sonoro consta di un ingarbugliato miscuglio di cozzi, schitarrate, bombe di basso e ululati, clamorosamente rivoltato su se stesso a mò di frittata di budella.
Come in un massacro totale, non si riesce a distinguere con chiarezza alcuna sezione, alcuna linea vocale, tantomeno strumentale. Tutto è informe, ammassato alla rinfusa, seppur legato assieme dal filo di sutura. I due ossessi Horned Despoiler of the First Temple e False Prophet Goatmessiah, oltre a coagulare accordi totalmente indecifrabili se non come rumore di fondo, vomitano sul microfono efferatezze innominabili (‘Crucified Bastard’), semplicemente aprendo le gole a chiassose invocazioni non-umane. Non si tratta delle classiche e, a qusto punto, tranquillizzanti suinate del brutal death metal, ma di qualcosa che somiglia vagamente al bavoso ringhiare di cani selvaggi, o lupi, o orsi. Forse questo è pure un bene, giacché nessuno, al mondo, sarebbe in grado di decifrare, nelle… canzoni, dei fonemi riconducibili a qualche linguaggio terrestre esistente e/o esistito.
S’intravede qualche riff udibile qua e là (‘Unfurl the Banners of Evil’), seppur la sensazione sia quella paragonabile al suono emesso da due chitarre che stiano cercando disperatamente di accordarsi. Inintelligibile il basso se non, appunto, in occasione di qualche pseudo mid-tempo. Pazzeschi i blast-beats, rimandabili, come esecuzione tecnica, a epoche neanderthaliane.
Follemente, poiché nessun altra spiegazione avrebbe senso, il totale di tutto quello che i Crurifragium buttano (a caso?) sul piatto, possiede un suo fascino perverso. Come fosse la sublimazione del peggio del peggio che un essere umano possa suonare con uno strumento musicale ordinario. Il fondo del fondo. Il che rende “Beasts of the Temple of Satan” clamorosamente, irresistibilmente, definitivamente unico nel suo genere (quale?). Inaudito, qualcosa di similare. Forse andando a scavare nelle più misconosciute musicassette di metallo oltranzista della prima metà degli anni 80, giacenti nei più sperduti paesi del globo, sconosciuti anche all’underground più underground.
Per questo inaudito coraggio i Crurifragium, con il loro inascoltabile “Beasts of the Temple of Satan”, meritano paradossalmente la sufficienza. Per essere stati in grado di creare un punto di singolarità, un buco nero, nell’infinito universo del metal estremo e non.
Pazzeschi!
Daniele D’Adamo