Recensione: Beautiful Shade Of Grey
Attenzione, anzitutto diciamo che questo album non è un disco progressive metal, chiaro a tutti?!
Bene, stabilito questo presupposto e fugato ogni dubbio, se siete interessati o semplicemente curiosi di sapere cosa ha prodotto la mente del nostro amato James potete continuare la lettura della qui presente recensione.
LaBrie al di fuori dei Dream Theater ha avuto una buona carriera individuale, con prestigiose e numerose collaborazioni (Ayreon, Redemption, Eden’s Course) e una discreta carriera solista, benché iniziata in non più giovanissima età e suddivisa in soli 4 dischi spalmati in quasi 20 anni. Questo suo ultimo album nasce da una collaborazione ancora più intensa con il suo amico Paul Logue (conosciuto, anni or sono, proprio durante una delle sue collaborazioni con gli Eden’s Course), con il quale scrive a 4 mani ogni pezzo del disco. Il gruppo power inglese, inoltre, “offre” al singer canadese anche l’ottimo Pulkkinen alle tastiere. Completano il roaster di musicisti, il nostro grandissimo Marco Sfogli alla chitarra elettrica (l’unico sempre presente in ogni disco recente di James) e il figlio di LaBrie alla batteria.
Il precedente Impermanent Resonance risalente ormai al remoto 2013 era stato un buon disco progressive, caratterizzato da scelte artistiche interessanti e idee che si discostavano molto dal Teatro del Sogno, con trame molto meno complesse, ma con un sound più diretto e compatto, che andava a collocare il nostro artista nel panorama metal moderno. Con Beautiful Shade Of Grey James LaBrie prpopone un brusco rallentamento, utilizzando la nota tattica “heel and toe” (punta e tacco) per non perdere del tutto aderenza e ammorbidire la frenata il più possibile. Quello che confeziona per i propri affezionati ascoltatori è un disco rock, molto leggero e per lo più acustico, scorporando tutte le dinamiche pesanti e metal che avevano caratterizzato i precedenti lavori (addio anche a parti in growl ovviamente).
Beautiful Shade Of Grey scorre veloce e spensierato; l’inizio dell’opener “Devil in Drag” sembra interessante con un tappeto di synth ed un buon groove ma nel prosieguo non riserva grandi sorprese e fila liscia così com’è iniziata (probabilmente è anche la traccia più “pesante” di tutto il platter). Stessa inesorabile sorte per le due song successive, “SuperNova Girl” e “Give and Take”. La prima potrebbe tranquillamente essere un pezzo degli Oasis, sia per la tipologia di arpeggio acustico, sia per la costruzione del pezzo (sarà il titolo, ma “Champagne Supernova” ha la stessa identica struttura). “Give and Take” rappresenta invece una semi-ballata acustica, con un LaBrie molto a suo agio e profondamente empatico, e alcune soluzioni interessanti tra cui spicca un bellissimo assolo di acustica cesellato in un ritmo serrato e incalzante: bel brano.
Dopo una semiballad si passa a una ballad a tutti gli effetti: “Sunset Ruin” ha tutto quello che deve avere una canzone romantica e mielosa: archi, viole, basso acustico, percussioni ovattate, voce delicata che strugge nel refrain e un bridge per “rompere” l’andamento lento e cadenzato. Molto bella, ci mancherebbe, ma troppo déjà entendu. Successivamente, sia “Hit Me Like a Brick”, sia”Wildflower” offrono narrazioni calorosamente sincere e anglosassoni, sfiorando con maestria il pop e ancorandosi nell’AOR senza avere assolutamente voglia di negare il contrario. L’attraente intermezzo a cappella di “Conscience Calling” fa da introduzione alle tematiche più cupe e drammatiche di “What I Missed”, ma anche in questo brano non c’è traccia di distorsione alcuna e il ritornello sembra uscito da un pezzo degli One Direction (possibile?!), eppure qui forse un po’ di sana durezza ci sarebbe stata bene… Chiudiamo (quasi) con “Am I Right”, pezzo ancora più acustico dei precedenti (incredibile, ma si può fare), che vola leggiadro e trasognante inspessendosi sul finale con l’aggiunta di cori “gospel” che fanno molto Musical americano. Ancora due pezzi “bonus” e siamo pronti a tirare le somme. “Ramble On” vi chiederei di non ascoltarla. Poi se proprio siete curiosi su come è possibile demolire un pezzo degli Zeppelin fate pure, ma siete stati avvisati! “Devil in Drag (electric version)”, invece, è la versione leggermente appesantita dell’opener e forse anche meglio riuscita della sorella più acustica.
Finito l’ascolto, che dire? È chiaro che con Beautiful Shade Of Grey James LaBrie dà una virata decisa al suo percorso artistico, al punto da sbandare in sovrasterzo esattamente come quando la vettura curva molto di più di quanto hai richiesto indirizzando le ruote. Ci sono alcune soluzioni interessanti, e rimane comunque un disco pulito e prodotto a dovere, ma niente di più purtroppo. La copertina dell’album probabilmente rappresenta esattamente chi è oggi il buon vecchio James LaBrie, un uomo davanti a un bivio, da una parte una via oscura e pesante, dall’altra un sentiero luminoso e rigoglioso. Dove vuoi andare James?