Recensione: Becoming
Pesaro è terra fertile per l’Acciaio fatto musica. La Storia, con la “S” maiuscola, insegna. Da quella zona provengono realtà sia in campo heavy metal che doom che hard che hanno segnato tappe fondamentali dell’italian way of rock. Basti pensare ai sulfurei Death SS, al successivo Paul Chain Violet Theatre, agli omonimi lavori di Chain, ai formidabili Revenge, autori di quel capolavoro che risponde al nome di “Home Again” e a quei “marziani” dei The Boohoos. Menzione speciale anche per gli irriverenti Capillary, of course!
Da quelle lande baciate dal mar Tirreno diparte anche la parabola artistica dei Twelve Back Stones, nel 2012. Come riportato nel foglietto allegato al Cd, il gruppo nasce semplicemente come Twelve da un’idea del cantante e compositore Giacomo “Jack Stone” Magi che, dopo un percorso nel panorama musicale fiorentino, torna nella città Natale (Pesaro) arruolando Matteo Giommi (chitarre), Michele Greganti (chitarre, cori), Fabrizio Raffaeli (basso e cori) e Fabrizio Ricci (batteria). Nel 2015 pubblicano Lost in Paradise, Ep d’esordio autoprodotto, con cui iniziano a farsi conoscere, fino alla realizzazione di Becoming, oggetto della recensione, sotto la guida di Pietro Foresti, produttore con esperienze passate di peso (basti citare il L.A. Guns Tracii Guns e Scott Russo).
L’album, sotto forma di Cd, contiene dieci pezzi, è griffato Vrec Musiclabel e si accompagna a un libretto di dodici pagine di ottima fattura, sia a livello di grafica che di carta utilizzata, con tutti i testi, le foto di rito e le note tecniche in chiusura.
La miscela utilizzata dai cinque pesaresi per dar forma alla propria musica pesca a piene mani dalla scuola hard rock degli anni Ottanta. C’è modo e modo di fare hard rock: con le chitarre leggerine e con le chitarrone belle pesanti. I ‘Twelve decisamente rientrano nella seconda categoria e dimostrano che, con un cantante melodico con i controcolleoni, una produzione possente e, ça va sans dire, il giusto songwriting, è possibile sfornare un disco di sana musica dura che sa dispensare succulenti schegge degne di nota e dall’appeal radiofonico senza per questo risultare stucchevole. “Liar”, “Black Rose”, la stuzzicantissima “On The Road” e “Whiskey And Flower” sono canzoni di fronte alle quali è difficile rimanere indifferenti. Un gustoso mix di ruffianeria made in US, semplicità di fondo e tanto feeling elargito a chi si pone all’ascolto. I fan di The Cult e dell’Hard californiano odorante asfalto che dettava legge lungo il Sunset non rimarranno certo delusi da codesto poker di autentica classe. La freschezza va poi man mano scemando dal momento in cui si affronta il resto dei pezzi che conducono sino alla finale “Anytime”. E’ anche vero che mantenere un “tiro” siffatto costituisca impresa improba per quasi tutti, là fuori, indi thumbs up, comunque, per il primo full length dei Twelve Back Stones. La retta via è stata imboccata…
Stefano “Steven Rich” Ricetti