Recensione: Beg to Differ

Di Filippo Benedetto - 30 Settembre 2003 - 0:00
Beg to Differ
Band: Prong
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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80

I Prong sono stati un gruppo molto importante, nell’ambito della scena underground heavy, per aver saputo con originalità fondere lo stile classico del thrash anni 80 con l’hardcore. La storia della band ha inizio nel lontano 1985 nei dintorni di New York, quando il chitarrista e cantante Tommy Victor (al tempo tecnico del suono al CGBG’s, un club di New York), conobbe quelli che di lì a poco sarebbero diventati i membri della band stessa: Mike Kirkland al basso e Ted Parsons alla batteria. Il combo statunitense incise il suo debut album nel 1987 intitolandolo “Primitive Origins”. Le influenze speed metal erano molto evidenti, in questo album, miscelate però a sonorità hardcore. Nel 1988 il secondo disco, “Force Fed”, oltre alla sempre evidente matrice speed, mostra un approccio più marcatamente sperimentale a livello compositivo: le ritmiche complesse, i riff intricati e sincopati presenti in questo secondo lavoro, diedero qualche notorietà alla band in ambito uderground. Il 1990 è l’anno della maturazione dei Prong con il terzo album, “Beg To Differ” (Epic, 1990), disco sul quale soffermeremo più nel dettaglio l’attenzione.
Il disco si apre con “For Dear Life”, un pezzo tirato, con riff cupi e minacciosi. Si tratta di un brano che si rifà alla classica impostazione speed/thrash anni 80 con in più la perizia tecnica e l’originalità propria dei Prong, con cambi di tempo continui e un assolo ben innestato nel pezzo. “Stay Declain” mostra la capacità della band di non fossilizzarsi sullo standard tipico del thrash, dando vita a un riffing con vaghe influenze hardcore senza però mai eccedere nella contaminazione. La voce di Victor è particolarmente cupa e violenta nell’impostazione della tecnica vocale, come del resto lo era nell’opener del brano. Anche in questo caso assistiamo ad un improvviso cambio di tempo, per l’esattezza nella chiusura, con un’accellerata “speed” molto azzeccata. I Prong hanno sviluppato di disco in disco, sempre più marcatamente, una certa inclinazione per la sperimentazione; e proprio con la terza traccia, la title track, abbiamo forse l’esempio più evidente di questa caratteristica portante dell’intero progetto musicale. Il pezzo ha un inizio atipico, tutto caratterizzato da ritmiche in controtempo. Con questa song il combo dimostra quanta padronanza ognuno dei suoi membri abbia del proprio strumento, riuscendo nello stesso tempo ad avere un approccio sperimentale alla musica senza per questo risultare “impenetrabile” alle orecchie dell’ascoltatore. “Lost and Found” non fa che ribadire l’indole sperimentale del gruppo, anche se in questo caso in maniera meno marcata che nel brano precedente. Può essere definito, in sintesi, una traccia a due faccie: l’una quasi funky nell’impostazione ritmica, l’altra più speed nello sviluppo in progressione. Da notare l’assolo che anche in questo caso quasi accompagna l’accellerata del pezzo, prima del suo ritornare al normale ritmo semi-cadenzato. “Your Fear” ha un’intro morbida e rilassata, quasi ad introdurre una semi-ballad, ma l’irrompere delle chitarre distorte porta la track ad assumere la struttura di un brano vivace e con sempre variegati cambi di atmosfera. L’intro in realtà, lungo l’arco del brano, né risulterà parte integrante amalgamandosi perfettamente con le parti più vivaci in cui trova sviluppo. La song, con quella melodia cupa e avvolgente che la caratterizza, rimanda vagamente ai sabbath, ma queste reminescenze in fondo sono presenti un po’ ovunque in questo disco e il ritornello, molto ben costruito, risulta piacevole durante l’ascolto. La sesta song, “Take it in hand”, ha un intro atipica, lenta e cadenzata che poi lascia spazio ad un’accellerazione ritmica molto “speed” sostenuta da un potente e veloce riff di base. Anche qui la bravura della band nei cambi di tempo è encomiabile, frutto anche questa volta dell’ottima prova del batterista del combo. I cambi di atmosfera (da quella cupa e introspettiva a quella più energica) in questa song si susseguono l’una dietro l’altra in modo molto lineare e l’assolo non fa che arricchire di brio un pezzo di buona fattura.“Intermestrual D.S.B.” è un’autentica sfuriata in stile thrash ricca com’è di ritmiche veloci, riff stop-and-go e un assolo rapido, violento però preciso. “Right to Nothing”, ribadisce una volta di più l’intento della band di addentrarsi a piene mani in costruzioni sonore dissonanti, a tratti simil-industriali (più nel concetto che nell’effettiva esecuzione strumentale) senza mai esasperare, come ormai ci hanno abituato Victor e soci, in fase di sperimentazione sonora.
Anche in questo lavoro il ruolo della batteria è fondamentale, sembrando quasi lo strumento trascinante… l’elemento di punta del gruppo, alle ritmiche del quale gli altri strumenti devono “adeguarsi”. Un’intro per batteria, una chitarra “dissonante” come non mai danno il via a “Prime Cut” , pezzo in cui la band si discosta in modo deciso dalle precedenti sonorità speed, per addentrarsi maggiormente in sonorità post-industrial che però, a parere del sottoscritto, risultano deludenti per la ripetività quasi assoluta del brano rendendo l’ascolto poco attento e partecipato. Il disco si chiude con “Just the Same”, brano più scorrevole giocato su un riff pesante, sostenuto da una batteria eccellente soprattutto nelle accelerazioni strumentali. L’assolo, proprio in questa parte del pezzo, risulta troppo breve e lascia l’amaro in bocca per il suo “fulmineo” inserimento.

In sostanza “Beg to Differ” può essere considerato un bel disco, consigliato in modo particolare per chi ha voglia di ascoltare sonorità “fuori dai canoni” di una band troppo sottovalutata nel panorama metal americano.

Filippo “Oldmaidenfan73” Benedetto

Tracklist :
1) For Dear Life
2) Stay Declain
3) Beg to Differ
4) Lost and Found
5) Your Fear
6) Take it in Hand
7) Intermestrual D.S.B.
8) Right to Nothing
9) Prime Cut
10) Just the Same

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