Recensione: Believe
Niente male davvero. Partiamo nella descrizione di un disco veramente valido fuori per la Heavencross, prog metal speziato delle ispirazioni heavy più classicamente intese, per un sound complessivo degno di un ascolto approfondito e di particolare attenzione. Tipica formazione a cinque anche per questi volenterosi americani, forti di una tastiera indispensabile per il genere e di una voce rauca e graffiante, assolutamente rara quando si prendono in considerazione questo tipo di occasioni ma non per questo meno soddisfacente delle ugole progressive più famose. La chitarra gioca spesso sull’accordone pesante in compagnia della batteria frizzante di Steve Michael, preciso ed attento a non perdere nessuna battuta significativa verso o contro il tempo che definisce le dieci tracce qui dentro. Ed in effetti di tempo è giusto parlare perchè il disco in questione porta sulla tavola quasi 70 minuti di buon progressive metal, nessun calo di tensione ma piuttosto tenui fraseggi di chitarra e rilassanti passaggi di pianoforte, sfizioso alternarsi di violenza e dolcezza infarciti di un’atmosfera spettrale quasi magica. Ogni pezzo non si abbandona su se stesso superata la prima strofa e il primo ritornello, ma al contrario cerca nuova strada e si evolve con la tempesta di secondi che scorrono veloci fino alla fine, purtroppo non è impossibile trovare anche questa volta un difetto in grado di trasformare spesso questo enorme edificio in un castello di sabbia in preda alle onde della critica: il gruppo sembra avere paura di perdere la testa, intimorito dalla probabilità di non trovare più la strada del ritorno, facendo sempre un accurato riferimento al chorus che viene scritto per ogni brano, questo perchè molto probabilemente questi ragazzi non si sono resi conto di quanto rendano maggiormente nelle impetuose cavalcate che sono in grado di produrre. Ascolto e penso ad alcuni nomi che messi insieme possono sconcertare, non prendetemi troppo sul serio però: Queensryche, Metallica e Skid Row.
Ho sempre pensato che un buon disco per essere tale deve riuscire a saziare. Il sorprendente full lenght cui ci troviamo di fronte riesce a colmare con gusto lo stomaco delle nostre orecchie, ma in un modo particolare perchè vedete, mentre nella maggior parte dei dischi progressive metal ben recensiti tastiera e chitarra fanno del loro meglio per gestire la parte melodica del contesto in cui si trovano, qui si rivela la sfumatura più violenta e forse più semplicistica del prog propriamente inteso: basso e tastiera suonati rispettivamente da Graham Thomson e Vinnie Fontanetta costituiscono un dettaglio sonoro che contribuisce solo ad elevare con maestosità la performance di Ted Burger alla chitarra e Steve Michael alla batteria. Non posso che testimoniare il notevole impatto sonoro creato solo da batteria e chitarra, ottima non eccellente la produzione della casa discografica. La prima parte di questa release merita sicuramente un voto maggiore di 80 ma dovendo valutare con onestà tutte le dieci tracce preferisco fermarmi qui. Tuttavia tengo a precisare come brani del calibro di What in seconda posizione (a mio parere uno di quelli meglio riusciti perchè fra i più completi) siano in possesso di gruppi praticamente sconosciuti al grande pubblico come questi Without Warning, prova di quanto giorno per giorno stia diventando difficile farsi largo verso il successo in questa folla di musicisti amanti del progressive provenienti da tutto il mondo. Italia a lavoro!
Andrea’Onirica’Perdichizzi
TrackList:
01. Deepest Dreams
02. What
03. In My Name
04. Far From Eden
05. Who Can You Blame
06. Believe In Me
07. Envisioned
08. Eye On The World
09. Evil Needs
10. Believe
Acoustic Version Bonustracks
11. Who Can You Blame
12. Believe