Recensione: Believe
Non erano pochi ad attendere il ritorno sulle scene dei Pendragon, band di punta del neo-prog rock anglosassone che in passato aveva saputo deliziare le orecchie degli appassionati con piccoli gioielli come The World, The Window of Life e, soprattutto, l’acclamato The Masquerade Overture, vetta stilistica di una carriera ormai ventennale.
Dopo quattro anni di silenzio la creatura di Nick Barrett torna a calcare le scene con l’intento e l’onere di mostrare che lo smalto dei giorni migliori non è stato intaccato dal passare delle stagioni. La volontà è quello di restare al passo con i tempi senza cadere nel riciclo, così la ruvida copertina rinuncia alle esplosioni di colore degli artwork che furono per accasarsi su tinte fosche e cupe. I segnali sono evidenti: qualcosa è cambiato.
In meglio o in peggio, è presto per dirlo. Quel che è certo è che le sorprese non mancheranno. Abbandonate le sinfonie corali apprezzate ai tempi di The Masquerade Overture, tocca alle melodie arabeggianti e insolitamente new-age della title track introdurre una rock-song diretta e orecchiabile. Sì, avete capito bene: è sorprendentemente lineare, immediata e accattivante l’anima rock della cadenzata No Place for the Innocents. Forse troppo. Di certo non passa inosservato lo sforzo da parte di Barrett di ispessire il proprio timbro vocale, mai particolarmente sofisticato ma in passato bene amalgamato alle sonorità della band, oggi più ruvido e profondo. In altre parole: sempre meno prog, sempre più rock. Un’evoluzione che tuttavia, al di là dei progressi tecnici, potrebbe non piacere a tutti, come non tutti gradiranno il cambio di rotta verso le sonorità abbordabili me fin troppo ordinarie ostentate dal refrain. Più attenti e meditati appaiono invece i testi, parte di quell’unico filone concettuale di critica sociale ragionata che in modo più o meno diretto attraversa l’anima di ogni brano. Non si può poi omettere di osservare che, se pure la prestazione vocale solleva dapprincipio qualche legittimo dubbio, le chitarre del buon Nick rimangono sempre un affidabile punto di riferimento, cosicché quando prendono il comando difficilmente finiscono per sbagliare rotta.
Come accennato in precedenza, le influenze classiche e sinfoniche paiono, se non abbandonate, perlomeno nettamente ridimensionate, a favore soprattutto della componente acustica, vera protagonista in brani come la spagnoleggiante Wisdom of Solomon. Appropriate le ritmiche, mobili e incalzanti, un po’ meno le linee vocali, del tutto fuori luogo infine le (fortunatamente rare) macchie elettriche che qua e là tentano di rinverdire il sound, in nome di una strana legge non scritta secondo la quale parrebbe necessario assumere che un brano, per suonare moderno, debba suonare elettronico.
Di ben altra caratura, fortunatamente, la chiusura del disco. Parte bene, sospinta da suggestivi echi orientaleggianti, la psichedelica Learning Curve. Delicati arpeggi, ancora acustici, accompagnano un paio di assoli di pregevole fattura, bastanti a far perdonare qualche forzatura evitabile nelle linee vocali. Dulcis in fundo, il pezzo migliore dell’album. In uno sviluppo graduale e attentamente calibrato The Edge of the World svela lentamente le proprie grazie, tra arpeggi acustici di eccezionale delicatezza che crescono in un mesto solo pinkfloydiano, prima di diffondersi con naturalezza senza aver bisogno di esplodere, riacquistandosi giusto un attimo prima di una deflagrazione forse attesa ma per nulla necessaria.
Abbiamo lascito indietro la suite centrale, The Wishing Wheel, suddivisa in quattro tracce di durata variabile tra i quattro e i sei minuti. Non è una scelta casuale. Infatti, dopo una scaletta complessivamente positiva ma meno coinvolgente del previsto e a tratti interlocutoria, toccava alla portata principale decidere le sorti dell’album. Tuttavia dopo una ventina di minuti, che ci crediate oppure no, l’incertezza e i dubbi rimangono esattamente gli stessi. Partenza lenta, forse troppo, con una sezione parlata che si estende oltremisura – peccato per i cori à la Hans Zimmer di sottofondo che rimangono un po’ troppo in secondo piano – poi ampio spazio alle melodie, malinconiche nella seconda parte, rapide e incalzanti nella terza, accomunate da un’intenzione ancora una volta catchy certamente non spiacevole ma per certi versi forzata. Le diverse sezioni, peraltro, non paiono legate in modo particolarmente stretto tra di loro, e probabilmente poco sarebbe cambiato se fossero state presentate come tracce a se stanti. Una simile impostazione, se da un lato rende la canzone nel suo complesso più agevole da assimilare, dall’altro finisce per impoverirla di quell’elemento d’imprevedibilità indispensabile a chi voglia elevarsi dal livello medio di quella soluzione oggi così diffusa, per non dire abusata, che è la suite.
Non si può dire che questo sia il tipico disco “for fans only”, anzi, è probabile che saranno proprio gli affezionati della band i più critici verso l’ultima fatica dei Pendragon. Un album come questo pare difatti più adatto ad ascoltatori occasionali, amanti del rock diretto, acustico e vagamente psichedelico e, aggiungerei, anche a coloro che non si sentono del tutto a proprio agio in un ambito puramente progressivo. L’abbandono quasi totale dell’elemento classico, il distacco dalle sonorità di marca Genesis che in passato erano state tanto intelligentemente rielaborate, la rinuncia a sperimentazioni che sfruttino compiutamente l’ausilio delle tastiere: tutti questi sono elementi che modificano il suono dei Pendragon in maniera davvero cruciale. Rimane certo l’impronta inconfondibile di Nick Barrett, e rimane un buona qualità nelle composizioni che nessuno potrà negare, ma chi si era avvicinato con ben altre aspettative rischia di non allontanarsi completamente soddisfatto. Believe è un album onesto, godibile e arricchito da un finale in crescendo, costretto tuttavia a sollevare lo sguardo per fissare negli occhi i il memorabile passato.
Tracklist:
1. Believe (2:56)
2. No Place For The Innocent (5:36)
3. The Wisdom Of Solomon (7:06)
The Wishing Well (21:07)
4. For Your Journey – 4:30
5. So by Sowest – 6:48
6. We Talked – 5:29
7. Two Roads – 4:17
8. Learning Curve (6:34)
9. The Edge Of The World (8:15)