Recensione: Bellum I
Olio e pastello. Probabilmente il paragone pittorico è il più calzante per descrivere l’opera degli Aquilus, che certamente mostrano come l’arte non possa che nascere dalla pazienza e da una certa dilatazione dei ritmi. Abbiamo difatti aspettato una decade per poter stringere tra le mani il successore di quel Griseus che scosse l’underground, e non solo, con la sua sapiente miscela di black atmosferico ed orchestrazioni. E Bellum I rafforza, con ancora più veemenza, le coordinate del debutto. Sia ben chiaro, non stiamo qui parlando di un apporto sinfonico bombastico, come spesso accade in seno ad un certo black metal, bensì di un approccio se vogliamo più intimo ed esistenziale, in cui fanno capolino sfumature “romantiche” e crepuscolari. Tale afflato è esemplificato magistralmente dalla strumentale Embered Gates, nella quale fanno capo vibes quasi orientaleggianti ad increspare un sottofondo altrimenti plumbeo, affidato a synth quasi spettrali. La delicatezza di archi, tastiere e pianoforte si fa pura poesia nelle sezioni in cui risulta armonicamente fusa l’anima più propriamente black, un black elegante, mai manieristico, sgorgante da un’ispirazione che fonde stilemi novantiani ad un approccio moderno transalpino – si vedano i vari lavori targati Les Acteurs de l’Ombre Productions licenziati negli ultimi anni, come quelli di Au-Dessus e Triste Terre – in grado di imbrigliare magistralmente veemenza e melanconia.
Ancora una volta, dunque, Horace Rosenqvist – in arte Waldorf – riesce nell’intento di consegnarci un prodotto rifinito nei minimi dettagli, indubbiamente sottoposto al lavorio di cesello di una penna esigente e mai stancamente trascinantesi su dettagli scontati o fuori posto. E tutto ciò viene realizzato in assenza di qualsiasi connotazione di mestiere, per dir così: Bellum I risulta difatti dall’inizio alla fine ricolmo di intuizioni in grado di far immediata presa sull’ascoltatore. A riprova di ciò basterebbe l’ascolto della traccia più corposa e densa del platter, Eternal Unrest, in cui si rivela un gusto per la melodia ed una cura per le armonizzazioni che avrebbe ben da insegnare a nomi persino più blasonati, scorrendo per tutti i suoi 13 minuti abbondanti senza che sia concesso un istante di noia, o sottotono. La voce graffiante di Waldorf perfora la trama fine stesa da un riffing maestoso e vario, stagliandosi sulle strumentazioni, quasi a voler ribadire la presenza di un ego costantemente in dialogo con sé stesso, smarrito nelle spire di una disperazione incolmabile. Menzione particolare merita inoltre la produzione, di livello elevato per un prodotto tutto sommato di nicchia. In particolar modo, tutti gli strumenti emergono in maniera equilibrata ed in particolar modo il basso, profondo e potente, mai troppo sovrastato dalla batteria, le chitarre ritmiche sono dotate di un timbro graffiante ma corposo.
Tutto ciò dovrebbe convincere chiunque abbia apprezzato Griseus a far proprio senza riserve questo lavoro, in grado di riproporre un sound collaudato ma non per questo privo del mordente dell’esordio. Si può tuttavia ben consigliare senza indugio Bellum I anche a chiunque non abbia mai ascoltato il progetto: le sue peculiarità non potranno che fare immensamente felice chiunque sia alla ricerca di un black atmosferico unico nel suo genere, pregno di un talento più unico che raro.