Recensione: Belly Of The Beast

Di Vito Ruta - 6 Novembre 2022 - 13:08
Belly of the Beast
78

Avete mai provato ad entrare in un botte e a rotolare per il fianco accidentato di una montagna? Io no. Posso immaginare, però, (ammesso di aver l’indispensabile dose di coraggio per tentare l’impresa) che c’è da uscirne frastornati, pesti e malconci.
Esattamente così ci si sente dopo l’ascolto di “Belly of the Beast”, ultimo capitolo discografico, via Music Theories del gruppo Mascot Label, a firma del cantante statunitense Joe Lynn Turner.

Frastornati perché con “Belly of the Beast”, con grande coraggio e grintosa determinazione, Turner si allontana dalla sicurezza delle assolate rive dell’AOR, genere sul quale ha costruito la propria ultra quarantennale carriera e con il quale è finito per essere identificato, per addentrarsi nei più oscuri recessi dell’animo umano, territorio nel quale (è convinzione del singer) si combatte l’ultima battaglia della guerra tra bene e male.

Pesti e malconci perché, per renderci partecipi della frustrazione e della disperazione di chi si sente intrappolato nel ventre del sistema e non vede via d’uscita, il nostro picchia davvero duro, ricorrendo a sonorità pesanti, cupe e cattive che dipingono efficacemente atmosfere apocalittiche.
L’ultimo Turner, in veste di solista dei Sunstorm, è lontano anni luce da quello di “Belly of the beast”, album nel quale rivela aspetti inediti della sua personalità e si presenta nelle insolite vesti di studioso esoterico, occultista e di ricercatore biblico – filosofico.

Belly of the beast” vuole e riesce ad essere l’album del riscatto in cui la rabbia a lungo covata esplode in un potentissimo e catartico suono guerriero.
Rabbia che trova nella biografia del cantante più di una causa giustificatrice. Partendo dall’alopecia, che lo ha spinto ad indossare per decenni protesi capillari, e arrivando ad un infarto, dalle cui conseguenze ha a lungo faticato a riprendersi, attraverso più di una fuoriuscita forzata dalle band in cui militava, non appena raggiunta una certa misura di sicurezza, sempre rivelatasi effimera.

Apertura arrembante con la veloce e aggressiva title track “Belly of the Beast”, in cui tutta la contrarietà alle riduzioni della libertà individuale legate alla pandemia, è affidata ad un riff heavy, ad un chorus epic rock e ad un intermezzo oscuro in cui trova spazio quella che sembra un nenia evocativa di entità malvagie. “Black Sun” è un brano davvero riuscito, con un Turner ai massimi livelli, che non sacrifica la melodia alla pesantezza del riff e alla solennità dei cori. “Tourtured Soul” è una ballad tormentata con un altro buon ritornello affidato ad un coro sinfonico.

Offre rasoiate alla cieca “Rise up”, altra traccia degna di nota, nella quale sono efficacemente amalgamate le pregresse esperienze melodic rock ad inedite aperture industrial metal.
Dopo “Dark night”, ballad che richiama i canoni AOR del passato, la robusta “Tears Of Blood” ci riporta al nuovo corso.
Apertura ipnotica per “Desire” che sfoggia un riff doom e ripropone cori epic. Nuovo grido liberatorio con “Don’t Fear The Dark” a cui segue la ritmata “Fallen World” in cui un altro coro solenne si staglia sul frastuono di tamburi di battaglia. “Living The Dream” dalle sonorità decisamente più rassicuranti, ma senza rinunciare al senso epico che fa da collante all’intero album, è un raggio di sole che riesce a farsi strada tra nere nuvole cariche di pioggia e regala un assolo in stile Blackmore. La raccolta grandiosità di “Requiem” è la degna conclusione di un lavoro coerente, dalle sonorità furiose, che riesce a mantenere incollati all’ascolto.

I segni dell’apocalisse sono sotto gli occhi di tutti, i sette sigilli sono aperti e sette volte si è udito lo squillo delle trombe.
Scegliete da che parte stare.

 

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Genere:
Anno: 1985
89