Recensione: Bergtatt

Di Onirica - 25 Settembre 2002 - 0:00
Bergtatt
Band: Ulver
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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90

Un improvviso stacco di batteria apre il libro nero della musica black metal con uno dei dischi simbolo del genere oscuro, sicuramente tra le migliori uscite dello stesso gruppo proveniente dalla fredda Norvegia. A differenza di gran parte dei gruppi che pensa ancora di fare black metal con due accordi in croce rovesciata, gli Ulver sfornano un autentico capolavoro difficilmente riproducibile da qualsiasi altro genio artistico. Attenzione: con questo non nego l’esistenza di ottimi pezzi costituiti forse da un accordo e mezzo. Distinguendo la vera arte dal semplicissimo rumore scambiato per violenza e con l’indice puntato sulla parola BERGTATT, segnalo con questa recensione un album straordinario immerso in un bagno gelido di chitarre classiche, suggestivi cori vocali e flauti, screaming squarciagola e maledizione. Compratelo, non ve lo dico più!

I cinque capitoli che compongono questa vecchia uscita costituiscono un unicum nella storia discografica del combo norvegese, perchè come forse già saprete le successive realizzazioni registrate in studio hanno subito una particolare spinta verso l’elettronica, elemento inesistente in Bergtatt. Forte di riff diabolici e sostanziosi, questo album si esprime alternando devastanti tratti ripidi/rapidi a nostalgiche atmosfere inghiottite dalla tristezza di una voce pulita che mette i brividi. Delizioso il riff principale che contraddistingue il capitolo d’apertura. Mentre la voce sembra chiudersi alle spalle la porta dell’oltretomba, vola via gran parte del brano ed ascoltiamo il lento assolo. La musica finisce: vibrano le corde di una chitarra classica e il gioco è fatto, il resto verrà da sè.

Arriva il bello. I flauti schiudono il secondo capitolo, brano in cui la voce dimostrerà le qualità nascoste nel primo episodio e l’impeccabile orchestra alle sue spalle sarà prova di un album ben suonato, seppur tutt’altro che ben prodotto. Una chitarra fabbricatrice di demoni e una drum-machine gonfia di sangue si uniscono a suggerirsi un proseguimento, il momento della scelta è fatale: il secondo atto passa il testimone al terzo, concludendo con un’affascinante sfumare di voci armonizzate, non trascorrono neanche quaranta secondi e chi ascolta può assistere ad un micidiale capovolgimento di fronte dove, per più di tre minuti, questi cinque mostri manterranno una velocità folle.

Il quarto capitolo si può considerare quello acustico per eccellenza. La chitarra classica accompagna una voce femminile sullo sfondo lontano di un’atmosfera quasi sacra o rituale, mentre si riprendono per tutto il corso della traccia più breve di Bergtatt le stesse note di chitarra, dall’inizio alla fine. Non è finita. Ottimo resoconto del disco intero, la chiusura descritta dall’atto quinto propone in otto minuti il concentrato delle quattro tracce precedenti, aggiungendo però un tocco di ulteriore disperazione sviluppandosi sul rasoio affilato di note lunghissime suonate con chitarra elettrica, screaming, batteria a mille e distorsioni. Basta parole, ascoltatelo.

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

1. Chapter 1: Lost in the Forest of the Gnomes
2. Chapter 2: Evelen Follows Behind Vase
3. Chapter 3: Graablick Watches Her Closely
4. Chapter 4: A Voice Enchants
5. Chapter 5: Bergtatt: into the Field Chambers

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