Recensione: Berlin
Sibilando nel silenzio, in un buio angolo dove le note cadono giù bagnando il viso di solitudine, dove la chitarra si contorce nel suo stridulo canto, mentre l’ultima luce si spenge alle nostre spalle.
Si chiude in questo modo, a distanza di due anni, il ritorno del trio tedesco dei Kadavar, band che nella scena occult rock europea è riuscita, in men che non si dica, a scalare con estrema destrezza la ripida salita verso la cima, arrivando a percepire importanti cachet, tra i più alti della scena, nonché una vasta copertura mediatica, grazie soprattutto al veloce interesse del colosso – connazionale – Nuclear Blast, che dopo un esordio targato Tee Pee records del 2012, ha messo sotto contratto la band, regalando alle stampe il fortunato Abra Kadavar (2013).
Ma la domanda che ha accompagnato i tedeschi è stata sempre la stessa: cos’hanno davvero i Kadavar in più delle tante band che popolano il folto sottobosco occult, stoner & heavy psych europeo? Assolutamente nulla!!!!! Ma così è stato fino a questo momento, ora infatti qualcosa è finalmente cambiato, cosa? È uscito Berlin. Un album pazzesco, fresco, scritto divinamente, con quei ritornelli che si stampano all’istante in mente e mai in modo ruffiano, con quel groove che fa schizzare dalla sedia, con quegli assoli avvolgenti e accattivanti e con quelle striature occult blues stoner che sono da sempre il marchio di fabbrica dei nostri.
Finalmente quel tanto agognato salto di qualità che tutti si aspettavano è arrivato, splendente nelle sue undici sfaccettature, dodici se si conta quella bonus track in lingua madre che chiude l’album, dipingendo tra le sue note le parole con cui avevo iniziato questa recensione. Reich Der Traume non è altro che un omaggio alla grandissima Nico, cantante, attrice e modella tedesca soprannominata negli anni settanta, la “Sacerdotessa delle Tenebre” per la sua voce profonda e le sue canzoni inquietanti grazie alle quali viene considerata tutt’ora la progenitrice del gothic rock.
Tornando ai Kadavar, risulta chiara una cosa, quello che sin’ora non aveva funzionato alla perfezione in passato, aveva iniettato pericolosamente nelle vene delle strutture compositive dei tedeschi, una ripetitività noiosa, facendo intravedere grandi potenzialità, ma lasciando spesso con l’amaro in bocca e qualche sbadiglio di troppo tra le mani.
In Berlin invece tutto gira come dovrebbe già dal riff acido e col fuzz a manetta della splendida opener Lord of the Sky, passando per il singolo groovy a nome Last Living Dinosaur, che ci regala una grande prova vocale del frontman Christoph Lindemann, arrivando al malinconico arpeggio che apre nel migliore dei modi la bellissima Thousand Miles Away From Home. Ogni cosa è posta nel giusto spazio in quest’album, come in Pale Blue Eyes e il suo vortice occult blues da brividi, mentre The Old Man non avrebbe affatto sfigurato in un album delle regine acide. Tutto è racchiuso in un vortice di suoni e di sensazioni che sembrano rimanere impalpabili, come nelle implosioni emozionali della superba Spanish Wild Rose o nel notturno anfratto dell’oscura Into the Night, che sembra deragliare nella notte strisciando indemoniata in una foresta di ombre ritagliate apposta per lei.
I Kadavar al terzo tentativo hanno fatto finalmente centro, dipingendo uno degli affreschi più intensi e sentiti di questo 2015 in un meltin pot corrosivo e acido di rock occulto e psichedelico. Da ascoltare e riascoltare.