Recensione: Best Of
Seize the day
Come what may
Find your own way
Make the darkness fade away
Take a chance
Make your destiny
(da “Until the end of days”)
Gli Stratovarius o si amano o si odiano: prima dei Nightwish, prima dei Sonata Arctica, trent’anni sulle scene, quindici studio album (senza contare innumerevoli singoli e live) testi facili, musica quadrata, ma anche largo spazio ai virtuosismi. In maggio è uscita la compilation che tenta di racchiudere la carriera pluridecennale dei finni invitti. L’artwork rispolvera il giglio rinascimentale e lo coniuga con le tinte nivali nordeuropee. Una scelta “neutra”, certo meglio riuscita dell’azzardo dei Dream Theater di Greatest Hit. Tutto ben confezionato, un triplo cd che farà la gioia dei fan più incalliti, ma vediamo nello specifico cosa riserva questo Best of. Nel booklet ci accoglie un’introduzione autobiografico-filosofica di Jens Johansson, il quale, con il suo stile divertito e le dovute sprezzature, ricorda del suo arruolamento da parte di Timo Tolkki, che a metà anni Novanta promise al key-wiz un cachet a dir poco esagerato per suonare in Episode. Ciò che emerge con chiarezza è il fatto che gli Stratovarius si considerano più della somma dei singoli componenti succedutisi nel tempo e che le loro canzoni hanno retto nel tempo, perché forti di una tasso qualitativo intrinseco che non diminuisce con il passare delle mode e delle scelte di arrangiamento e mixaggio. Paradossalmente gli Stratovarius potrebbero esistere in eterno, grazie a infiniti cambi di line-up, ma siamo realisti, senza Kotipelto (una delle tre corone power metal con Michael Kiske e Andre Matos) e Johansson ormai il moniker sarebbe infine del tutto svuotato di significato.
Detto questo, non poteva mancare anche una foto della line-up storica 1995-2005, con Jorg Michael e Jari Kainulainen, insieme ad altre foto di repertorio, raccolte in alcuni collage divertenti (vedasi Tolkki intento a leggere Women di Bukowski e Michael che si versa nella parti basse una birra post show). Tutti i fan degli Stratovarius si sono, poi, cimentati nel realizzare una compilation dei propri beniamini; personalmente ricordo di averci provato anni fa, il risultato fu un’infilata di grandi classici, alcune ballad (magari editate a dovere per questione di minutaggio), e un outro nostalgico come può essere “Call of Wilderness”.
Ma veniamo alle scelte operate dalla band stessa, i brani in scaletta sono ben 29 tracce, la prima inedita. “Until the End of Days”, per l’appunto, è un pezzo discreto, nulla più, nulla meno, i completisti saranno contenti di non lasciarselo scappare, per il resto meglio ricordare gl’inediti di Intermission. Il punto è che sono tante le canzoni meritevoli degli Stratovarius, come fare una cernita sensata? La band non ha seguito schemi particolarmente complessi: ritroviamo così cavalli di battaglia del passato, soprattutto nel primo disco, come “Speed of Light” “Black Diamond”, “Eagleheart”… e altri più recenti, “Deep Unknow”, “Darkest Hour”, “Unbreakable”. Tra le suite, “Destiny” ed “Elysium”, forse si poteva preferire alla titletrack del 1999 un evergreen altrettanto rappresentativo come “Visions” o “Mother Gaia” ma poco importa. Le assenti sono, invece, le grandi strumentali come “Stratovarius”, “Stratosphere”, “Holy Light” e “Stratophortress” (aspettiamo ancora che la nuova line-up ne componga una che regga il confronto con il passato) nonché alcune celebri ballad quali “Before the winter”, “Venus in the morning”, “40000 Rainy Nights”. Assente anche il lato più estenuante e anthemico del gruppo finlandese, quello di brani come “Babylon”, “Eternity” ed “Elements”. Tra le chicche la prevedibile “Break the ice”, opener di Twilight time, e “Wings of Tomorrow” (in chiusura di Dreamspace), due dei migliori pezzi pre-Kotipelto. Si doveva osare di più, l’ugola dell’ex-mastermind non era poi così male. Infine, non lasciatevi ingannare dalla magniloquente dicitura 3 CD: il bonus disk contiene il live al Wacken del 2015 (con “Legions” ribattezzata “Legions of the twilight”) e non regala un Kotipelto memorabile; perché, invece, non pensare a un bonus dvd con interviste e affini? Accontentiamoci dell’ultimo e buon Live in Tampere del 2012.
In conclusione siamo di fronte a un prodotto curato, ma che poteva celebrare meglio la magia che ci hanno regalato gli Stratovarius nei decenni scorsi. Come constata umilmente nel booklet Lauri Porra, la band di Kotipelto e compagni non sarà la più conosciuta al mondo, ma in ogni Paese del globo ci sono pochi, ma buoni, fan incalliti che conoscono a menadito la loro discografia e che non faranno passare inosservato questo florilegio. Consigliamo, infine, il Best of agli adolescenti d’oggi, che vogliono scoprire una delle band più famose della bella Finlandia, terra omaggiata anche dall’open-minded Obama.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)