Recensione: Best Ride Horse
Un’immagine di copertina che lancia messaggi inequivocabili, quella scelta dai newcomers Hangarvain, gruppo italiano giunto proprio in questi giorni alla pubblicazione del primo album in carriera.
Non c’è spazio per tante elucubrazioni: con un artwork simile, non può che essere hard rock venato di riferimenti sudisti e qualche polvere country.
Così è in effetti. Ma non solo.
Insieme ad un’attitudine retrò nell’iconografia di base, dall’ascolto di “Best Ride Horse” emergono anche un paio di altre declinazioni che consentono alla band di non guardare esclusivamente al passato, ma di proporre pure una serie di sfumature volte alla contemporaneità. Buone cioè, per mettere il quartetto originario di Napoli nella scia dell’hard moderno e corposo che – con moderazione, va detto – spunta un buon numero di paragoni con i vari Alter Bridge, Creed e Shinedown.
Il primo embrione del gruppo nato nel 2006 per mano di Sergio Toledo Mosca (Voce) e Alessandro Liccardo (chitarra), aveva già chiari gli obiettivi da proporsi in una ipotetica carriera nel periglioso ed affollato scenario musicale: “sintetizzare nell’identità sonora della band, l’impatto acustico e la grinta del puro rock con una forma canzone caratterizzata da melodie e refrain d’effetto”.
Un proposito all’apparenza scontato ma tutt’altro che facile da mettere in pratica: sono tantissime le realtà che nel tentativo di mescolare l’impatto ruvido con un approccio orecchiabile, hanno in qualche modo fallito, finendo per smarrire il fondamentale equilibrio tra le due componenti.
Gli Hangarvain, va dato loro atto, ce la mettono tutta per riuscire nel progetto, buttando in gioco un’esperienza che nel tempo si è fatta solida ed una serie di qualità strumentali che non paiono affatto trascurabili, mescolate ad influenze di massima valenza a partire da Lynyrd Skynyrd e Outlaws, per finire ai già citati Alter Bridge.
Gli esiti tuttavia, pur manifestandosi come di discreto livello, non si lasciano ancora apprezzare come un qualcosa di realmente “diverso” o comunque tale da potersi dichiarare superiore ad un buon numero di proposte di media caratura presenti attualmente sulla scena.
Fatte salve cioè, la verace e genuina natura del progetto, qualche felice intuizione in fase di songwriting ed alcuni brani dall’attraente sapore southern-country, l’idea complessiva è quella di un disco per lo più di piacevole ascolto, prodotto in maniera molto dignitosa ma ancora non abbastanza “maturo” per confrontarsi ad armi pari su coordinate d’eccellenza.
L’assenza di un nucleo di pezzi “killer” nell’economia generale della tracklist si fa sentire con un certo peso: le tracce sono tutte piuttosto scorrevoli e ben costruite, le parti di chitarra ed il riffing – a cura di Liccardo – molto convincenti, tuttavia non c’è ancora – pur sondando il disco più volte – un pezzo (o più di uno, possibilmente!) che faccia presa in maniera definitiva, tale da caratterizzare l’album oltre un’approvazione meritatissima.
Non si ravvisano illuminazioni particolari o atmosfere incisive e memorabili. La scintilla che accende ed eleva le emozioni, non è, insomma, patrimonio costitutivo degli Hangarvain: pur partendo da una buonissima base, per quella c’è da progredire ancora un po’.
Germogli pronti a presagire un buon futuro sono in ogni modo ravvisabili: canzoni quali “Free Bird”, “Knock Back Doors” e “Father Shoes” – guarda caso, i frammenti in cui l’anima rurale e polverosa della band emerge con maggiore nitidezza – sono lì a dimostrarlo.
Ottimi suoni, atmosfere interessanti ed una gran bella voce (anche se, con un pronuncia inglese tutt’altro che impeccabile), sono il contorno di melodie potenti e corpose, non troppo diverse però, da un buon numero di altri gradevoli brani già ascoltati da band analoghe.
Il raffronto con uno scenario tanto affollato come quello Hard Rock di questi anni – a maggior ragione se di rock “contemporaneo” si parla – è uno scotto da pagare per qualsiasi gruppo esordiente che vi si affaccia per la prima volta.
Agli Hangarvain, tutto sommato non è andata affatto male: il loro, infatti, non può essere definito in altro modo che un buon disco, frutto di sana passione ed una dose notevole di talento.
Per i sogni di gloria tuttavia, meglio aspettare ancora un po’…
Discutine sul forum nella sezione Hard Rock / Aor / Stoner!