Recensione: Between The Shadows

Di Fabio Vellata - 26 Aprile 2024 - 10:00
Between The Shadows
Band: King Zebra
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2024
Nazione:
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80

Con i King Zebra almeno ci si diverte.

Quando capitava, in anni passati, di raccontare di un disco scoperto da poco agli amici, si era soliti non andare troppo per il sottile, perdendosi in tante descrizioni dettagliate che alla fine annoiavano e basta.
I termini erano spicci e semplici. Da pelle d’oca. L’ho consumato. Na delusione. L’ho ascoltato un paio di volte e poi l’ho lasciato lì.
Oppure, quando il cd era bello, non da farci i salti mortali, ma comunque si ascoltava più volte per il semplice piacere di farlo, saltava fuori una definizione molto pratica. “Non sarà ‘sta grande invenzione, ma almeno ci si diverte”.

Ecco, gli svizzeri King Zebra sono sempre stati lì. In quelle poche parole.
Una band che non ha mai messo in musica idee imprevedibili ma con le sue canzoni ha il dono, non proprio comune, di far divertire.
Between the Shadows” lo conferma in larga misura. Il gruppo dell’ex China, Eric St. Michaels, si diletta con un corposo hard rock dalla melodia facile. Suoni rotondi e molti sapori che arrivano dagli anni ottanta.
Belle soprattutto le chitarre di Roman Lauer e Jerry Napitupulu, ricche, corpose, saettanti. Da far ricordare in qualche momento, la memorabile potenza di John Sykes ed ideali per rendere appaganti canzoni rapide e facilmente assimilabili come “Starlight”, “Children of the Night” o “Wicked“.
La stella polare a cui fare riferimento per tracciare la rotta, sono evidentemente, i gruppi nordeuropei che da qualche lustro dominano la scena del rock melodico.
Crazy Lixx, primi Wig Wam, Crashdiet: band che, mescolate ad alcune reminiscenze americane (i Ratt su tutti), contribuiscono a formare il suono dei King Zebra.

Between the Shadows” è un bel disco. Molto godibile, fresco, nonostante appartenga ad un genere non propriamente innovativo. Soprattutto, non appesantito da pretese che ne vorrebbero fare il nuovo capolavoro dell’hard rock continentale. È veloce, senza troppi fronzoli: meno di quaranta minuti per dire tutto il necessario e convincere senza riserve.
Scorrendolo più volte, capita d’imbattersi in buone soluzioni melodiche, ritmiche che sanno coinvolgere e pure una certa cura per i dettagli. Il quintetto svizzero, in effetti, è ben lontano dal poter essere definito grezzo o privo di buone qualità strumentali.

Insomma, davvero niente male.
Non c’è aria di rivoluzione, però sì, senza dubbio: ci si diverte. E pure parecchio!

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