Recensione: Between Visions And Lies
Larissa, città della Tessaglia Orientale, Grecia.
Anno 1990 – Le Origini.
I Black Fate rilasciano due demo intitolati rispettivamente “Black Fate” (1992) e “A Piece of Dream” (1993). Le testate greche ne rimangono positivamente colpite. La band è pronta a entrare in studio di registrazione. Tuttavia il destino a volte segue sentieri imperscrutabili. Non se fa nulla. Del gruppo si perde traccia.
Anno 2000 – Una falsa Partenza?
Devono trascorre dodici anni prima che il combo greco, modificata la propria line-up, possa dare alla luce l’album di debutto “Uncover” (2002). Seguirà “Piece of Dream” (2003) che si compone delle tracce dei due primi demo. Poi di nuovo silenzio. I Black Fate sono finiti? Hanno potuto vivere solo “una parte del sogno”? Forse.
Anno 2007 – Il Progetto Lazzaro.
Nikos Tsinzintilonis, batterista ed unico superstite del nucleo che ha fondato la band incontra Vasilis Georgiu, la voce del quale lo impressiona a tal punto da volere far rivire il proprio progetto che sembrava ormai definitivamente imprigionato tra le montagne della Tessaglia. Trascorrono due anni e il gruppo rilascia il secondo album “Deliverance of soul” (2009). I Black Fate ci sanno fare, suonano attingendo alla tradizione del power metal, con ritmiche sostenute e riff serrati, non disdegnano la pensatezza dell’heavy più classico e talvolta colorano le melodie seguendo le vie dell’hard rock melodico. Spesso optano per soluzioni alternative quasi inseguissero la lezione della musica progressive. Sono degli ottimi musicisti. Hai la netta sensazione che siano un gruppo sopra la media, lo sono per come si destreggiano con propri strumenti a creare trame musicali ricercate in canzoni dirette e non troppo complesse. Però non basta. I Black Fate si sciolgono. I soliti motivi? O forse il destino citato con incautela nel nome stesso della band li perseguita?
Ai nostri giorni – Vs il Destino Nero.
I Black Fate ci riprovano con nuovi membri. Nikos recluta il chitarrista Gus Drex (ex. Biomechanical, ex. Paradox) e il bassista Vasillis Liakos (Innosense) ed è tempo per l’ennesima resurrezione.
“Between Visions and Lies” è la loro ripartenza, l’ennesimo bivio di un sentiero che si spera stavolta li porti lontano. Il futuro è scritto nel passato e la loro musica riparte da ciò era stato creato nel 2009, cercando però di rendersi più attuali e al contempo ridefinendo il proprio stile. Il quartetto greco decide quindi di armonizzare le ritmiche con passaggi sinfonici e di creare riff più incisivi. Le canzoni ora si muovono su tempi veloci. Ne è un esempio “Rhyme of a false Orchestra”, prima traccia dell’album, in perfetto equilibrio tra riff distorti in secondo piano, orchestrazioni e batteria a dettarne con discrezione i tempi. La melodia entra velocemente in circolo e il nostro cuore accellera inseguendo la voce di Georgiu Vasilis che si destreggia in note alte ad interpretare con eleganza le partiture.
In “Lines in the sand”, primo singolo del disco, un riffing potente di chitarra diviene preludio a melodie trascinanti e agli assolo chirurgici della chitarra di Gus Drex.
La terza traccia “Game of Illusion” si struttura contrapponendo partiture complesse ad un ritornello diretto ed elegante. I tempi leggermente rallentano per mettere in risalto una delle melodie più suggestive dell’album.
L’intro di “Into the night” è affidata all’espressività della voce di Vasilis, sostenuto da archi e arpeggio di chitarra, poi la quiete drammatica è improvvisamente deviata da note distorte graffianti e riff che hanno come effetto collaterale quello di esaltare la melodia del pezzo. “State of Conformity” si discosta dal resto per il tono epico dei cori. “Without saying a word” è il lento dell’album, qui il cantato è di grande intensità e la musica lo sostiene grazie a pregevoli orchestrazioni e chitarre acustiche che lasceranno il passo a quelle elettriche per un finale di grande pathos.
Da citare anche “Perfect Crime” (e non è una cover dell’omonimo e celebre pezzo dei Guns’n Roses!) che si muove su riff massici ben scritti per poi lasciare spazio ad una melodia davvero ispirita.
Chiude il disco un pezzo strumentale intitolato “In Fear”, la batteria rulla su un tappeto di orchestrazioni in un crescendo epico a dissolversi nello scrosciare di un temporale, epilogo di una battaglia cruenta ove la realtà si confonde con le illusioni e la natura diviene ultima verità consolante.
“Beetween vision & lies” è l’opera più matura dei Black Fate, un disco piacevole ad ascoltarsi e allo stesso tempo però capace di sorprenderci per alcune soluzioni compositive davvero ben orchestrate esaltate da un cantato sempre convincente a disegnare melodie facilmente assimilabili, ma mai banali. La loro musica e la voce stessa del cantante rimandano ai Kamelot (per melodie e uso del vibrato), agli Heaven’s Gate (melodie dirette e parti strumentali ben elaborate) e ai Fates Warning (nell’uso di soluzioni più moderne in composizioni classiche), tali somiglianze divengono limite che si sostanzia in un déjà vu più marcato soprattutto nei primi ascolti.
In ogni caso un ottimo disco: speriamo sia il principio di un nuovo corso per una band che può aspirare ad elevarsi al di sopra della moltitudine.