Recensione: Between Worlds

Di Carlo Passa - 22 Settembre 2021 - 6:00
Between Worlds
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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65

Ancora una volta il bravo Alessandro Del Vecchio ripete la consueta formula: coglie un nome dal passato metal più o meno glorioso e più o meno remoto, gli accosta una band con qualche altro personaggio di grido e infine completa il quadro con il sapiente pennello del suo songwriting. Il tutto diventa un disco pubblicato dalla Frontiers.
Nonostante le indubbie doti di Del Vecchio, che nelle proprie produzioni sa spaziare tra il morbido melodic rock e il roccioso power metal di stampo americano (come è nel caso dei Between Worlds), i risultati tendono ad assomigliarsi tutti un po’ e, dunque, a non sopravvivere molto alla propria uscita sul mercato.
Eppure nei dettagli tutto funziona alla grande: ottime produzioni, musicisti eccellenti, arrangiamenti eleganti, progettualità sapiente. Ma quasi sempre è la somma dei dettagli a deludere: manca il cuore in questi prodotti progettati a tavolino, accostando ingredienti che si ipotizza possano contribuire a un piatto succulento. Manca l’odore della sala prove, la sintonia tra musicisti che si sentano parte di un sogno e non di un progetto, di un messaggio e non di un prodotto.
Nel caso dei Between Worlds, il personaggio di turno è Ronny Munroe, voce dei Metal Church tra il 2004 e il 2013 e oggi parte del ricco carrozzone della Trans-Siberian Orchestra. Ed è dalla band-madre di quest’ultima, gli irraggiungibili Savatage, che provengono due degli ospiti di Between Worlds: John Lee Middleton presta il basso a No Escape, mentre Chris Caffery è la chitarra solista di Angel e, ancora, No Escape, sostituendo il titolare Jack Frost, noto per essere tra i fondatori dei Seven Witches.
Come accennato, si tratta di un solidissimo heavy/power americano, perfettamente sorretto dal vocione di Ronny Munroe e dalle chitarre distorte del fior di musicisti coinvolti.
Between Worlds è certamente un buon disco, ma scorre intorno alle orecchie senza sedimentare alcuna traccia di sé. Mi chiedo se sia colpa del genere musicale, che ormai mostra la corda, o del singolo prodotto, che è pensato e realizzato con troppa razionalità e poco cuore.
Ascoltate la ballad Angel: è la perfetta ballad power, realizzata al meglio possibile, piena di dinamismo e pathos, ma anche priva di ogni sussulto, piatta esecuzione di un libro già scritto e tante volte letto.
E se certi tastieroni sintetici andavano bene su Rainbow in the Dark nel 1983, oggi finiscono per rendere la pur buona Beautiful Disaster una parodia di un pezzo heavy metal. E valgano le stesse parole anche per No Escape e Beneath the Surface.
Non mancano i momenti di pregio. Alcuni di noi apprezzeranno il bel tiro di These Walls, il crescendo epicheggiante di Flip the Script, o la buona melodia di Calm Before the Storm. Ma temo che non altrettanti saranno coloro che rimetteranno il disco nella propria rotazione quotidiana: davvero eccessiva è la ripetitività fredda del modello.
Nel complesso, i Between Worlds mostrano tutti i limiti di essere un progetto e non una band. Ma i dischi che scaldano il cuore sono realizzati da band e non da, pur sinceri, organizzatori che ne selezionano le parti, certo eccellenti in sé, ma inani nel complesso.

 

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