Recensione: Beware of Truth
Tempo di debutto per i tarantini Overkhaos, gruppo giovanissimo ma che, con questo “Beware of Truth”, dimostra di avere le idee chiare su come si concepisce e si produce un ottimo album mescolando tecnica e un tema sempre attuale. Partendo dalle vicissitudini cittadine degli ultimi anni (il caso Ilva, l’inquinamento a livelli allarmanti, l’altissima incidenza tumorale nonché la cronica mancanza di lavoro e i conseguenti tira e molla tra domanda e offerta, per citare solo i più gettonati) i nostri se ne escono con una storia ambientata in un neanche tanto ipotetico futuro in cui il potere è in mano a potenti lobbies che, da brave incarnazioni del satanasso 2.0, si arricchiscono sulla pelle dei poveracci. Gli unici che hanno l’ardire di opporsi ai poteri forti sono i membri della Khaos Inc., una specie di incrocio fra Greenpeace e V. Ora, so cosa state pensando: concept album di denuncia sociale, temi politici ed economici mascherati dietro ad un lavoro dalle atmosfere vagamente noir, il tutto condito da un comparto musicale (questo ve lo dico io) prettamente heavy metal ma che non disdegna inserti prog. Effettivamente anche a me è saltato subito in mente lui, un album che, volenti o nolenti, da quasi trent’anni viene puntualmente tirato in ballo (anche a sproposito) quando si parla di lavori di questo tipo. Certo, scomodare un mostro sacro di tale calibro è cosa che fa tremare i polsi, ma se è vero che è l’entità della sfida a temprare il carattere, sappiate che questi ragazzi dimostrano di possederne a manciate. Ma torniamo a noi: la materia prima di questo “Beware of Truth” è costituita, come vi dicevo, da un heavy metal articolato che in più di un’occasione sconfina nei territori più serrati del thrash e su cui si innestano elementi più tipicamente hard rock e prog, che contribuiscono e creare un amalgama decisamente affascinante e per nulla scontato grazie ad una prestazione maiuscola di tutto il gruppo. Ottima anche la prova vocale di Mimmo che, a seconda delle necessità, spazia dalla voce pulita al growl senza alcun problema. La sezione ritmica si mantiene agile e dinamica, mente le due chitarre si intrecciano, si cercano e si inseguono senza dare mai punti di riferimento, in una continua ricerca di melodie raffinate senza, però, perdere di vista la componente più aggressiva.
Già dall’introduttiva “Prelude”, lontana chilometri dalla classica traccia appiccicata a forza in apertura per creare (non sempre, certo, ma fin troppo spesso) un’atmosfera posticcia, si capisce che si sta ascoltando qualcosa di interessante: la trama sonora è subito coinvolgente, e il passaggio alla successiva “Silent Death” perfettamente naturale. Qui le cose si fanno più serie, con Mimmo che chiama la carica mentre il resto del gruppo snocciola riff cangianti su una ritmica frastagliata e variopinta, punteggiata qua e là di assoli puliti e funzionali alla causa. “Solar Starvation” incede in un primo momento lenta e scandita, salvo poi esplodere nella cafonaggine di un riff che più classico non si può mentre elementi hard rock e thrash metal si immettono a sorpresa nel tessuto musicale dei tarantini donandogli rotondità. Un’intro più tipicamente hard rock apre “Khaos”, che in breve sembra adagiarsi su un andamento più rilassato. La traccia si irrobustisce pian piano senza mai abbandonare del tutto, però, questo contegno a suo modo solenne, tant’è che anche dopo la sfuriata che apre la seconda metà del brano si torna progressivamente a un incedere più contenuto per poi passare alla combattiva “The Lie You Need”, la cui natura ambivalente le permette di viaggiare a tempi alterni, saltellando tra fraseggi più melodici e rapide frustate chitarristiche. “Crumbling” prosegue il discorso puntando, però, su scelte armoniche più enfatiche, il tutto condito da un cantato che spazia da urla furiose a un incedere più declamatorio e, a tratti, quasi lamentoso, mentre la successiva “White Light”, dopo un arpeggio insinuante ed un approccio iniziale più contenuto, si districa egregiamente su un tappeto ritmico discontinuo che le permette di variare tra passaggi malinconici ed altri più sontuosi, lasciando la possibilità alle chitarre di tessere le loro trame senza troppe limitazioni. “Die Catsaw!” parte minacciosa e decisamente aggressiva, salvo poi aprirsi a soluzioni molto più melodiche sconfessando, ma solo in parte, l’iniziale furia. La traccia prosegue tra continui cambi di atmosfera, passando da brevi sfuriate a rallentamenti più dilatati fino a squarci melodici sofferti e carichi di pathos, mentre la sezione ritmica dà prova di grande qualità senza per questo risultare invadente. Con “Anna’s Song” entra in gioco l’ospite d’onore, nientemeno che Derek Sherinian, che dalla sua posizione alle tastiere supporta il gruppo pugliese donando maestà alla traccia, forse, più canonicamente progressive dell’album grazie ai cambi di umore e ai brevi rimandi al passato, agevolati dagli sporadici inserti di hammond. Chiude l’album “Deadline”, che con i suoi tempi variegati e l’andamento cangiante si rivela la vera summa dell’Overkhaos-pensiero, in cui riff compatti e vorticosi si alternano a momenti più dilatati e sognanti, avvolgendosi intorno a una trama solenne che conclude più che degnamente un ottimo esordio, articolato e bilanciatissimo, che sono certo farà la felicità di molti di voi.
Qualora non si fosse capito, “Beware of Truth” è un ascolto consigliatissimo: questo giovane gruppo ha dato vita a un album davvero notevole, capace di affascinare sia gli amanti del metal più robusto che gli ascoltatori più smaliziati in cerca di qualcosa di più sofisticato. E gliene va dato pieno merito.