Recensione: Beyond The Apocalypse

Di Giorgio Vicentini - 29 Novembre 2004 - 0:00
Beyond The Apocalypse
Band: 1349
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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74

Tornano con un coltello arrugginito tra i denti i 1349, affacciatisi ufficialmente sulla scena con il precedente Liberation. Il nome per l’arma prescelta è Beyond The Apocalypse, un assalto black infetto e tagliente, violento e malsano, fondato ora più che mai sulla commistione tra black metal e thrash senza che vi sia la preponderanza di un’anima a discapito dell’altra.

Inevitabile l’istantaneo confronto col lavoro precedente, rispetto al quale spicca prepotente la nuova sonorità: scarna e grezza per precisa scelta, che pone l’accento sull’asse portante batteria/chitarre. Un suono caustico, sporco e bellicoso, molto più aggressivo e di carattere che in precedenza; certe volte vagamente in difficoltà (proprio perché ruvidissimo) nei passaggi più complessi ma alquanto gustoso nel suo effetto “ferraglia”, che arriva direttamente in pieno viso con ignorante violenza.

Su questa base sonora d’impatto, ben diversa da quella del passato che rimaneva più in ombra, prende corpo e vigore uno stile velocissimo e dai lineamenti tesi, con punte di esasperata follia, ricco di affondi che riescono ad accelerare dove poteva sembra impossibile (“Aiwass Aeon” o la malefica “Chasing Dragons”), raggiungendo picchi di efferatezza sopra le righe come in “Perished in Pain”.
Un particolarità che può prendere alla sprovvista è che Beyond the Apocalypse è molto più suonato della media per essere black metal, così truce ma allo stesso tempo impegnativo da eseguire; una continua manifestazione e crescita di se stesso, che lo fa sembrare un animale irrequieto che cerca di disarcionare chi lo sta cavalcando; invadente, malevolo, bastardo ed invasivo come una valanga di freddo metallo. Non è facile seguire lo svilupparsi in continuo divenire delle composizioni, complesse ed in certi casi anche leggermente meno sciolte del dovuto, appesantite da una sequela di note nervose, che qua e là pregiudicano la scorrevolezza.
Ogni pezzo corre senza nemmeno tentare di avvicinarsi a momenti acustici o “ambientali” perché, in perfetto stile norvegese, se la band decide di puntare alla violenza lo fa senza orpelli o raffinatezze prediligendo ritmiche sostenute in piena apnea. Il massimo che viene concesso è l’inizio ritmato in doppia cassa e basso di “Singer of Strange Songs” oppure l’introduzione di “Internal Winter”, anche se in entrambi i casi si tratta soltanto di un antipasto leggerino prima del vero massacro a base di thrash smembrato, inondato di sangue e di dedizione a Satana.

Se l’esecuzione strumentale è quasi inattaccabile, non altrettanto si può dire delle linee vocali. Da premiare lo spirito con cui viene interpretato lo screaming, convincente in questo senso, ma contestabile la forza vera e propria ed il fiato. In alcune occasioni, il singer Ravn rimane leggermente in secondo piano rispetto al marasma sonoro, riducendosi ad un mezzo più che onesto per dar voce a questo progetto, ma nulla di più.

Ovviamente, è impossibile ignorare a priori la presenza di un Mr. Frost.
Dotato di tante braccia quante la dea Calì, basterebbe per far prendere slancio a qualsiasi aborto black odierno e che nella fattispecie contribuisce da solo ad alzare l’incisività media, rendendo splendenti di luce propria alcuni passaggi. A riguardo, ho avuto impressioni contrastanti: in certi casi, tanta maestria è volutamente enfatizzata, lasciando spazio ai virtuosismi ma togliendo un minimo di facilità alle partiture, in altri, il disco sembra perfino più spedito di quanto sia realmente grazie al mastodontico drumming. In ogni caso, tale padronanza tecnica non nuoce di certo all’economia globale del disco, garantendo un supporto tale da sostenere il resto della formazione decisamente tecnica, che si esalta in composizioni tutt’altro che lineari e votate costantemente alla violenza. Fondamentale, per capire e carpire la bontà o meno del gruppo in questione, è il lasciar da parte i pregiudizi positivi o negativi che immancabilmente aleggiano attorno ad un personaggi così carismatico.
Non penso sia giusto dare del miracoloso ad ogni piè sospinto di Frost, come non è corretto bollare come fine a se stesso e frutto della fama di un singolo, un gruppo che ha delle doti tecniche prima di tutto, di volontà di far male in seconda battuta; messe entrambe al servizio della ricerca costante di graffiare, suonando thrash black in maniera leggermente diversa dall’accezione classica del termine, cioè quella darkthroniana.

Questo è un disco che non lascia grande respiro, cercarlo significa sapere a cosa si va incontro: black tiratissimo ed a tratti soffocante ma tanto, tanto rabbioso.

Tracklist:
01. Chasing Dragons
02. Beyond the Apocalypse
03. Aiwass Aeon
04. Necronatalenheten
05. Perished in Pain
06. Singer of Strange Songs
07. Blood is the Mortar
08. Internal Winter
09. The Blade

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