Recensione: Beyond the Palest Star
A distanza di un biennio dal debut-album “Striving Toward Oblivion”, è nuova linfa per i Vorga con il nuovo arrivato “Beyond the Palest Star”.
Oltre la stella più pallida, chissà cosa c’è. Forse il buio, forse il nulla, forse un’altra sezione di Universo. I Nostri la fiutano per descrivere il loro, di universo. Buio, nero come la pece. Nero come il black metal, loro genere natìo. Non solo di partenza ma, anche, di un percorso tecnico/artistico che si sviluppa entro le spire del più visionario dei generi che l’arcaico heavy metal abbia mai partorito.
Il combo tedesco, per proiettare la sua anima sullo schermo cosmico punteggiato da finiti ma privi di limiti corpi celesti, fa uso di un approccio decisamente classico alla questione. Raggomitolandosi, cioè, negli angoli musicali dove la ricerca di innovazione è posta in secondo piano rispetto all’elaborazione dei brani.
“Beyond the Palest Star”, non a caso, rivela un cuore pulsante in cui le sequenza dei battititi sono già noti. Che, però, grazie a questa sicurezza intrinseca, può concentrarsi sulla scrittura delle canzoni, veri elementi in cui il terzetto di Karlsruhe esprime la sua disperazione, il suo dolore, la sua sofferenza. Il suo male di vivere, così, almeno, si dice.
Non è dato di sapere del perché, se mai ci fosse, di un atteggiamento emotivo del genere, deputato alla tristezza se non, a volte, alla disperazione. Sentimenti che, più degli altri, spiccano nel percorso che, dall’opener-track ‘Voideath’, conduce alla suite finale ‘Terminal’. Un cammino sferzato da ondate su ondate di blast-beats impeccabilmente eseguiti dal poderoso batterista Hymir, che movimentano, scuotono, saettano nelle desolate immaginarie lande di un pianeta lontano percorse a mò di pellegrinaggio, questi diretto nel suo incedere dai moti tempestosi dell’anima.
Il livello tecnico posseduto da Спейса e dai suoi due compagni di avventure è alto. Indicativo di musicisti ricchi di esperienza e professionalità. Tant’è che il sound dell’LP è praticamente esente da pecche o manchevolezze. Black metal a tutto tondo, insomma, suonato come si deve quando si decide di affrontare i marosi del mercato internazionale.
Black metal spiccatamente melodico, questo sì, malgrado le aspre linee vocali del ridetto Спейса, anche chitarrista e bassista, interpretate da quest’ultimo con la gola riarsa, sanguinante, secca nell’emettere uno screaming profondo che fa la sua parte nel delineare il carattere declinante del platter. Assieme ad Atlas, l’altro axe-man, egli forma una coppia molto affiatata, in grado di reggere tranquillamente il peso della responsabilità di costruire le fondamenta e le strutture portanti di uno stile armonicamente esente da pecche.
Il riffing è possente, potente, pulito, delineato da molteplici accordi eseguiti e compressi dalla tecnica del palm-muting, rifuggendo zanzarii vari anzi donando al suono il dono di essere trascinante, travolgente, a tratti irresistibile. Con una buona dose di segmenti solistici che accarezzano le orecchie per indurre in chi ascolta il caledioscopio di emozioni che disegna sulla superficie interna dell’ipersfera mirabilolanti paesaggi alieni.
Esempio ne è ‘Magical Thinking’, introdotta e condotta da un elettronico tappeto di tastiere – queste presenti lungo tutto l’arco del disco – che, con il suo tono a tratti addirittura commovente, strappa la mente dal corpo per innalzarla verso le più alte vette di struggente melodiosità. La traccia è impeccabile, se osservata a tutto tondo, ed è significativa poiché svela le potenzialità compositive del trio proveniente dalla stato tedesco del Baden-Württemberg.
Dello stesso tenore è la già citata ‘Terminal’, closing-track che sfiora gli otto minuti di durata, necessari per ribadire definitivamente la direzione artistica intrapresa dal trio medesimo che, in questo frangente, mostra nondimeno una spiccata attitudine all’approfondimento di ciò che si muove vorticosamente entro il cervello quando è sottoposto a impulsi sonori la cui natura è irrimediabilmente malinconica nonché nostalgica.
“Beyond the Palest Star” è quindi un’opera che merita di essere goduta a pieno volume non solo dai blackster ma da tutti per via della sua ascoltabilità e melodiosità. Per raggiungere l’optimum, i Vorga dovrebbero riuscire a mantenere il proprio songwring sullo stesso piano delle citate song, giacchè manca solo lo spessore di un pelo per raggiungere l’auspicata, ideale continuità fra di esse. Sì da dar vita se non a un capolavoro, quasi.
Daniele “dani66” D’Adamo