Recensione: Beyond the Veil
Ma che bello che è questo “Beyond the Veil”! Ok, recensione finita. Come? Non vi basta? Ok, calmi, cerchiamo di non perdere la testa: lasciate stare le seggiole, mettete via quelle catene…io cercavo solo di essere conciso, e alla fin fine basterebbe solo la mia frase di apertura per definire il nuovo nato in casa Dark Forest, quintetto britannico (da non confondere con l’omonima black metal band canadese) nato poco dopo l’arrivo del nuovo millennio e giunto con “Beyond the Veil” al quarto album (più tre EP ed un demo), ma visto che fino a stasera non ho niente di meglio da fare vi ruberò un po’ di tempo per entrare di più nel dettaglio.
A due anni dal precedente “The Awakening”, i nostri baldi ragazzoni tornano alla carica con il loro classico metallo di scuola maideniana (impossibile non notare l’influenza di Steve Harris e soci nel lavoro dei nostri), screziandolo però con pesanti dosi di power metal e innesti di musica folk qua e là, amalgamando il tutto con un gusto notevolissimo per le melodie. Più volte i cinque britannici sono stati paragonati ai nostri Elvenking, e in effetti anche a me questo parallelismo è saltato in testa in diverse occasioni durante l’ascolto dell’album, soprattutto per l’ottimo bilanciamento tra, dicevamo, power e folk (con netta predominanza del primo) e per l’atmosfera positiva che, a prescindere dai testi, si respira per tutto l’album (si veda ad esempio “The Winter Wake”). La stessa copertina si allontana dai colori desaturati del già menzionato “The Awakening” per esplodere nella pienezza dei verdi e dei gialli e fungere, così, da ideale specchio visivo alla musica proposta.
Partenza a razzo con “On the Edge of Twilight”, opener solare e robusta al tempo stesso in cui a farla da padrone sono rapidi fraseggi di chitarra che fanno da contrappunto all’ottima prova di Josh alla voce, anche se il ritornello a mezza voce non mi ha proprio convinto. Il gruppo è in palla e, anche se i ritmi non sono proprio funambolici, le melodie sono ben supportate da riff corposi e una sezione ritmica precisa e puntuale. “Where the Arrow Falls” prosegue nell’esibizione di melodie robuste e solari ottimamente intessute dal gran lavoro delle chitarre, che con i loro continui testa a testa, ora scherzosi ora solenni, coronano l’operato del resto del gruppo e confezionano un’altra traccia avvincente. “Autumn’s Crown”, per parte sua, sembra puntare più su un certo trionfalismo nonostante un andamento discretamente agile, mentre con “Blackthorn” i nostri cinque britannici puntano sull’impatto di una traccia diretta e muscolare che, nonostante una certa staticità ritmica, mette in mostra begli intrecci chitarristici e interessanti cambi d’atmosfera. Dopo il breve intermezzo bucolico di “Lunantishee”, i rumori della pioggia e di tuoni lontani introducono l’arpeggio carico di epicità di “Wild Hunt”: tempo un minuto e si parte al galoppo con una delle tracce più coinvolgenti del lotto, anch’essa caratterizzata da repentini cambi d’atmosfera e di ritmo. Il sognante rallentamento centrale non è altro che il preludio ad una nuova carica trionfale, guidata stavolta da una batteria arcigna e chitarre agguerrite, salvo poi dissolversi di nuovo nel rumore della pioggia. Tanta roba, ma i nostri eroi non si fermano qui, tant’è vero che senza neanche scomporsi calano “Earthbound”, altro gioiellino in cui coesistono alla perfezione le anime di questo “Beyond the Veil”, sia quella più folk che quella più heavy/power. Il brano gioca su ritmi agili, concedendosi un paio d’accelerazioni e qualche rallentamento nei punti giusti per enfatizzare questo o quell’elemento senza bisogno di strafare, sfruttando anche qui le pennellate della copia d’asce (si veda ad esempio l’incursione strumentale nella seconda metà con il pezzo di chitarre gemelle).
“The Undying Flame” torna a pigiare il tasto delle melodie d’assalto e ad impennare il tasso di trionfalismo durante il ritornello, salvo poi concedersi una pausa e passare ad un crescendo marziale che prelude l’assolo, prima di tornare alla melodia portante in tempo per il finale maestoso. Non male, ma alla luce delle tracce che l’hanno preceduta si poteva fare di meglio. Neanche a farlo apposta, l’arpeggio iniziale di “Mên-an-Tol” sembra messo lì proprio per bacchettare il mio breve istante di malcontento e biasimare la mia poca pazienza: la traccia è una strumentale di sei minuti e mezzo in cui i nostri calano un altro bel carico da dieci, snocciolando con apparente indifferenza melodie sontuose, riff corpacciuti e schegge di epicità e amalgamando il tutto in modo davvero superbo. Ottimo lavoro. E si arriva così alla title-track, la classica canzone solare e caciarona sorretta da un’ottima base strumentale, una melodia zuccherosa e coinvolgente e soprattutto benedetta da un ritornello che, nonostante l’impressione di sigla da cartoni animati che tanto spesso attanaglia il power metal, vi troverete a canticchiare in meno di tre secondi.
La melodia soffusa e romantica di “Ellylldan” serve solo a creare una pausa prima di arrivare all’ultima traccia di “Beyond the Veil”, la suite “The Lore of the Land”, in cui il profumo di Iron Maiden (e della loro danza della morte) torna insistentemente a farsi sentire, soprattutto nel modo di cantare di Josh. La traccia si snoda lungo più di tredici minuti, durante i quali i nostri dimostrano di saperci fare anche con minutaggi importanti senza mai perdere la presa sul timone, alternando sapientemente momenti trionfali ed eroici a fraseggi dal profumo bucolico e cavalcate agguerrite, e concludendo il tutto con un finale che, pur imitando in modo forse troppo pedissequo i propri numi tutelari, potrei definire solo come sontuoso.
Qualora non si fosse capito mi sento di affermare senza timore di smentita che questo “Beyond the Veil” è un signor album, suonato in modo impeccabile da un gruppo in un momento di grazia e capace, grazie alla qualità delle canzoni che lo compongono, di farsi apprezzare da una larga fetta dell’utenza metallica e, a mio modesto avviso, non solo. Bel lavoro, signori, davvero ben fatto.