Recensione: Beyond the Void

Di Daniele D'Adamo - 14 Luglio 2024 - 0:00
Beyond the Void
85

Ormai è un fatto certo: il metallo ha conquistato ogni possedimento del globo terracqueo. L’ardimentosa proposta musicale, il cui spirito più vero si fonda in un approccio totalmente anticommerciale anche per distinguersi dall’informe massa urlante, ha portato Paesi di ogni dove a partorire band dall’alto livello qualitativo.

Stavolta si tratta della Romania, già nota per via dei power metaller Scarlet Aura, che, con tutto il rispetto per questi ultimi, in quel di Bucharest dà alla luce una band straordinaria che si chiama Machiavellian God. Straordinaria per tanti motivi, il primo dei quali è quello di aver creato uno stile assolutamente personale. Stile che pesca un po’ ovunque, nel metal estremo, per fagocitare emozioni diverse al fine di compattarle in un unico tipo di sound. Il loro.

Beyond the Void” è il secondo full-length in carriera ma mostra, in tutta la sua forma, l’immenso numero di passaggi musicali che lo nutrono, lo accarezzano, lo coccolano e lo percuotono. Sì, poiché i Nostri, pur essendo vicini al progressive metal, per il momento rientrano ancora nei confini del death. Progressive death metal, insomma, tanto per buttar lì una definizione che si ritiene perlomeno mezza appropriata.

Le tracce sono solo cinque ma assai lunghe e articolate, con la suite da parata (‘Into the Abyss‘) che, contrariamente al solito, viene proposta per prima e non per ultima. Indispensabile per creare la giusta atmosfera è l’ambient, che è utilizzato a piene mani. Come nell’incipit del brano predetto il quale, in pochi secondi, stabilisce il mood dell’intero lavoro.

Un umore triste, nostalgico, melanconico. Meravigliosamente concepito per innescare una riflessione profonda di se stessi nonché dei sentimenti che ribollono all’interno dell’animo umano. A questo contribuiscono fattivamente anche altri strumenti, oltre ai soliti, quali violoncello, pianoforte e tastiere per una totale, trasognante immersione nelle fosse oceaniche, ove vige il silenzio più completo che ci sia; per rallentare le vibrazioni dei timpani e quindi percepire solo ciò che giunge dai solchi del disco.

La potenza del suono è massiccia, a tratti monumentale, quasi servisse a svegliare l’ascoltatore per tirarlo via dal misero torpore della vita di tutti i giorni. Ecco che allora esplodono qua e là, a mò di fuochi di artificio, stupendi assoli che trafiggono il cuore per estrarne i più nascosti singulti. La melodiosità delle chitarre di Mihai “Mike” Dinuta e Alex “Bastardu” Gheorghe è semplicemente meravigliosa. Arte pura che viene espressa attraverso le note per proiettare immagini della Natura più incontaminata.

Il growling di Mihu, benché, per quanto detto, porterebbe a pensare che sia fuori luogo in quanto cupo e rabbioso, in realtà forma l’ossimoro perfetto per far risaltare ancor di più le stupende melodie che reggono le song (‘Shadows and Chains‘). Queste strutturate in maniera assai complessa, tanto che occorrono davvero tanti ascolti per coglierne tutti i più minuti particolari; come cori gregoriani ed eterei canti femminili dalla fulgida ma un po’ malinconica vena portante (‘Eternal Echoes‘). La sezione ritmica si mostra precisa e puntuale, non rinunciando alla furia devastatrice dei blast-beast quasi a voler tratteggiare l’animo umano in tutti i suoi rapimenti. Dolcezza, aggressività, riflessione, poeticità, verve elegiaca. Tutto questo, oltre al resto, è in “Beyond the Void“.

La suddetta disamina trova riscontro diretto nell’introduzione di ‘The Burden of Existence‘, altra canzone-capolavoro. Potenza annichilente che si apre all’improvviso per lasciar scorrere deliziose linee vocali interpretate con voce pulita. Un’altalenante antitesi che apre le acque di borbottanti ruscelli d’amore verso la musica e chi è così bravo da renderla tale. Amore che esplode nella strumentale, celestiale ‘Serenade of Solitude‘, altro trionfo di Euterpe, altro caposaldo di orecchiabilità che non ha nulla di catchy, anzi: sembra quasi che avere il dono di farla propria valga il detto popolare: «Meno siamo, meglio stiamo».

A questo punto si può stringere e affermare senza paura che “Beyond the Void” sia un’incredibile sorpresa, che si candida fra le migliori opere di metallo pesante del 2024. E i Machiavellian God? Ce ne fossero…

Daniele “dani66” D’Adamo

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