Recensione: Beyond Vision
Nel 1994 gli Acid King si affacciarono sulla scena underground con un omonimo EP di debutto che fondeva il Proto-Metal degli anni ‘70 con quei riff lenti e downtuned che erano la matrice distintiva del sound di precursori come Sleep ed Electric Wizard. Tutt’ora assai meno noti dei gruppi citati, agli Acid King va comunque riconosciuto un apporto fondamentale allo sviluppo dello Stoner/Doom.
A quasi 30 anni e 4 full lenght dagli esordi e dopo diversi cambi di line-up, gli Acid King tornano nel 2023 con il nuovo LP “Beyond Vision”, uscito il 24 marzo su Blues Funeral Recordings. Fulcro della recentemente rinnovata formazione rimane la frontwoman Lori Steinberg (chitarra e voce), accanto alla quale troviamo Jason Landrian (degli sludgers losangelini Black Cobra) alla chitarra e alle tastiere, Bryce Shelton (High Tone Son of a Bitch, ex-Nik Turner’s Hawkwind) al basso e ai sintetizzatori e Jason Willer (Jello Biafra and the Guantanamo School of Medicine, ex-Nik Turner’s Hawkwind) alla batteria.
“Beyond Vision” è stato registrato agli Sharkbite Studios di Oakland con macchina analogica con nastro da 2 pollici, soluzione che gli conferisce un alone autenticamente retro, e prodotto da Billy Anderson, sound engineer di prim’ordine che si è occupato, tra gli altri, dei lavori di band come Amenra, Cathedral, Eyehategod e Sleep.
All’origine dell’album ci sono le idee strumentali avant garde, oscure e lisergiche di Lori, che si sono evolute – assumendo la forma dei sette pezzi di cui si compone “Beyond Vision” – solo dopo diverse jam session tra la musicista e Jason Landrian. Dal punto di vista concettuale, le liriche hanno a che fare con tematiche connesse all’esplorazione, sia essa interiore (il viaggio lungo il corso della vita) che cosmica (la vita su Marte e sulla Luna e la morte dei recessi più reconditi dello spazio).
Le tracce si avvicendano le une alle altre senza soluzione di continuità, in un fluire organico e continuo che genera disorientanti sensazioni circolari e ondulatorie. Le linee vocali sono utilizzate con notevole parsimonia, solo quando davvero necessarie, ma questa non è una novità per gli Acid King. Elemento inedito è invece l’ampio spazio concesso a tastiere e sintetizzatori che contribuiscono, insieme alle chitarre, a creare quel mood lisergico che caratterizza “Beyond Vision” in modo molto più netto rispetto ai suoi predecessori.
L’album è aperto dalla strumentale “One Light Second Away”, un crescendo Ambient/Drone che poi si evolve lungo direttrici psichedeliche. “Mind’s Eye” e “90 Seconds”, tra riff downtuned, dilatati e ipnotici e linee vocali dal sapore Seventy, sono vere delizie per i cultori del genere. Il lungo strumentale “Electro Magnetic” ricalca grosso modo la struttura della opener, con una prima parte Ambient, che ricorda gli Earth, a cui segue una sezione psichedelica in cui la chitarra solista assume il ruolo di protagonista.
Un altro passaggio strumentale, questa volta la brevissima e dronizzante “Destination Psych”, prepara il terreno per la title track, altro perfetto esempio di ipnotico Stoner/Doom. Chiude le danze “Color Trails”, quarto passaggio strumentale dell’album che, muovendo da fraseggi iniziali delicati e malinconici, acquista intensità nella seconda parte in cui coniuga con maestria ruvidità e sonorità trippy.
“Beyond Vision” è una release di assoluta importanza per gli Acid King. Oltre a essere composto da quelli che sono di per sé degli ottimi pezzi, questo nuovo album – pur non snaturando il suono del gruppo – con il suo approccio psichedelico preponderante segna l’inizio di un nuovo corso nell’’ormai trentennale storia della band di San Francisco.