Recensione: Biermächt (Reissue 2021)
Innalziamo i boccali colmi di birra: tornano i Wehrmacht! Approfittiamo anche questa volta della recente re-issue dei loro primi due album targata Hammerheart Records; dopo aver colto la palla al balzo per riascoltare il loro primo full-length, “Shark Attack”, passiamo al secondo “Biermächt”, pubblicato originariamente nel lontano 1988. Recensire dischi di qualche anno fa, oltre a spingermi inevitabilmente a tornare indietro con la memoria, mi stimola anche a ricreare le condizioni in cui ascoltavo i dischi negli anni ’90. In presenza di una copia fisica di solito metto in pista il mio antidiluviano lettore portatile di CD, comprato nel 1998 dopo mesi di sanguinose economie e ancora perfettamente funzionante anche se la voracità pantagruelica con cui divora le batterie mi obbliga a tenerlo collegato alla presa di corrente. Il recupero di “Biermächt”, di cui purtroppo non ho mai posseduto il CD, mi ha costretto a coniugare nostalgia e necessità di potermi muovere liberamente: ho risolto questa situazione di impasse grazie al mio vetusto lettore MP3, compagno di mille avventure e caratterizzato oltretutto da un’eccellente qualità di riproduzione musicale (d’altronde lo pagai una piccola fortuna, considerando il potere d’acquisto delle mie tasche da studente universitario costantemente in bolletta). Me lo procurai circa 15 anni fa, intimorito da una capienza di 2 GB che all’epoca mi impressionò obbligandomi a pensare ‘adesso come lo riempio tutto ‘sto spazio?’. A questo punto immaginate, se potete, il minuscolo schermo stabilmente illuminato da una tenue luce azzurra rigorosamente non modificabile. I piccoli e granitici caratteri, sagomati da una risoluzione che se supera i 300 x 200 pixel è già tutto grasso che cola, compongono la parola Wehrmacht e la frase “You Broke My Heart (So I Broke Your Face)”, titolo del primo brano di “Biermächt”. La prima considerazione è che fortunatamente ci sono certi lupi che non perdono il pelo né tantomeno il vizio: i dinosauri come me, legati alle antiche tradizioni, apprezzano la coerenza di musicisti come i cari Wehrmacht, che a distanza di un anno da “Shark Attack” non consideravano nemmeno per sbaglio la possibilità di un cambio di passo. Prima ancora di premere play sulla ridotta tastiera del lettore MP3 viene subito in mente la parola affidabilità: la lettura del titolo del disco, della tracklist e soprattutto dei testi dei brani rimanda immediatamente all’irriverenza di cui è intriso “Shark Attack”. Visto che la riproduzione non è ancora iniziata mi distraggo un attimo per ammirare l’illustrazione di copertina: i cinque componenti del gruppo, ritratti dal disegnatore molto più muscolosi rispetto alle fotografie d’epoca che li ritraggono, circondano un carro armato la cui parte superiore è stata sostituita da un’enorme bottiglia di birra, sicuramente usata per riempire i boccali in mano ai cinque ragazzacci. E’ degno di nota il dettaglio della cartucciera porta-lattine di birra indossata da uno dei personaggi, già presente nella copertina di “Shark Attack”: con estrema vergogna devo ammettere che, pur avendo trovato il gadget in numerosi negozi online, non ho ancora provveduto all’acquisto. Rimedierò comunque prima dell’estate: non posso credere di essere andato in montagna per vent’anni a fare escursioni sprovvisto di un oggetto simile. Questo gadget miracoloso mi fornisce un pretesto per parlare di uno dei temi principali trattati nei testi delle canzoni di “Biermächt”: l’interesse dei Wehrmacht verso la birra, già ampiamente dimostrato in “Shark Attack”, viene confermato con energia in questo secondo album da brani come l’eloquente “The Beer Is Here! – Drink Beer Be Free” e la (quasi) title track “Beermacht”.
Alcuni siti web non esitano pertanto a definire beercore il genere musicale proposto dal combo: questa scelta purtroppo esclude le altre tematiche trattate dai Wehrmacht. In primis ritroviamo l’horror, già omaggiato in “Shark Attack” e qui riproposto con gli elenchi di scelleratezze cantati nei brani “Goreflix” e “Radical Dissection”; merita inoltre spendere qualche parola per poter apprezzare al meglio la traccia “Night of Pain (Part 1)”, dedicata al primo capitolo della saga filmica Halloween. Chiunque abbia un minimo di familiarità con l’album dei Napalm Death del 2004, “Leaders Not Followers: Part 2”, avrà riconosciuto il titolo di una delle canzoni scelte dai beniamini inglesi del Grindcore per arricchirne la tracklist, composta da covers di brani Metal, Hardcore e non solo. I Napalm Death, selezionando anche brani di gruppi come Cryptic Slaughter, Agnostic Front e Wehrmacht, mostrano riconoscenza verso il Crossover Thrash della metà degli anni ’80, mostruoso ibrido di Thrash Metal e Hardcore in grado di influenzare gli allora neonati Death Metal e Grindcore, nonchè la successiva seconda ondata di Black Metal. Dopo la parola affidabilità la riflessione su “Biermächt” porta infatti alla mente un’altra parola: anticipazione. I Wehrmacht, durante la composizione dei brani per i loro dischi, avranno immaginato fino a che punto avrebbero anticipato le correnti estetiche e musicali comparse in ambito Metal negli anni successivi? Chissà se, dopo aver scritto la leggiadra “Suck My Dick”, nono brano di “Biermächt”, avranno previsto quanto si sarebbero messe a fischiare le loro orecchie durante l’ascolto dei testi di “Get In The Ring” dei Guns ‘n’ Roses o di “Faget” dei Korn, due degli innumerevoli esempi, successivi a “Biermächt”, in cui un cantante ripete la stessa esortazione ai suoi ascoltatori…Scorrendo i testi delle varie tracce ci troviamo oltretutto di fronte ad un’altra clamorosa anticipazione: il testo del brano “The Wehrmacht” cerca di spiegare a chiunque nutra ancora qualche sospetto che i Wehrmacht, nonostante il monicker provocatorio ed obiettivamente equivoco, non hanno nulla a che fare con Hitler e fascismi vari. Chi a questo punto ha pensato ai Darkthrone ha pensato bene: la dichiarazione di esclusione di responsabilità rappresentata dal brano dei Wehrmacht ricorda in tutto e per tutto il messaggio incluso dai Darkthrone nel materiale cartaceo abbinato al loro “Panzerfaust”, uscito nel 1995. Dichiarando di non essere una band nazista né politicamente impegnata i norvegesi cercavano di rispondere alle accuse di antisemitismo mosse nei loro confronti dopo la pubblicazione di “Transilvanian Hunger”, e possiamo immaginare che, tra un litro di birra e un altro, anche i nostri Wehrmacht abbiano incontrato la necessità di chiarire la loro posizione politica. Uscendo poi per un momento dall’ambito prettamente Metal, come resistere alla tentazione di avvicinare il titolo del brano “Goreflix” al marchio di un famoso e attualissimo servizio di contenuti multimediali in streaming? Va bene che flick è un termine inglese informale sinonimo di film, ma in questo caso più che una somiglianza sembra di leggere una citazione: chissà se il dirigente responsabile della scelta del marchio di questa nota azienda abbia mai rivelato al consiglio di amministrazione di aver tratto ispirazione dal vinile di “Biermächt”…e ora mi accorgo di quante cose si possa parlare prima ancora di aver iniziato l’ascolto dell’album. Concedetemi ancora qualche riflessione, vi giuro che fra poco premo play; andando avanti con l’esame dei testi ci si imbatte in alcune curiosità che meritano di essere sottolineate. Innanzitutto, nonostante i miei lunghi anni di variegati ascolti musicali, sono convinto che il brano “Munchies” rappresenti un primato: non credo di aver mai incontrato un brano dedicato alla fame chimica, e chi altri se non i Wehrmacht avrebbero potuto colmare questa lacuna? Devo ringraziare questo brano in modo particolare: incuriosito dalla durata di 11 secondi della traccia precedente a “Munchies”, “Everb E….! Micro-E!”, ho finalmente fatto partire la riproduzione musicale. “Everb E….! Micro-E!” è la registrazione di una ‘E’ pronunciata in inglese dal cantante con il probabile accompagnamento di un colpo di grancassa, il tutto riprodotto in 3 velocità diverse. Una ‘E’…breve. E quindi? Everb è il contrario della parola italiana breve, ed è bastato tempestare di qualche click le pagine web dedicate ai Wehrmacht per trovare un’informazione che spero essere veritiera: il chitarrista Marco ‘Sharko’ Zorich è originario di Genova. Nelle vene dei Wehrmacht, nati negli Stati Uniti e originari di Portland in Oregon, scorreva sangue italiano…come si può non essere patriottici dopo una scoperta simile? La ricerca di notizie riguardanti Marco Zorich mi ha anche permesso di conoscere un’altra realtà musicale di cui ignoravo l’esistenza: il chitarrista, in compagnia del cantante dei Wehrmacht Tito Matos, ha fondato nel 1989 la folle e umoristica band Spazztic Blurr, in cui milita tuttora (ed ecco spiegata la scritta SPAZZTIC BLURR disegnata nell’artwork di “Shark Attack”).
Ormai, comunque sia, il tasto play sul lettore MP3 è stato premuto, e nulla potrà più fermare l’assalto sonoro garantito dai cinque scapestrati thrashers. Tito Matos, sempre orientato verso un cantato vicino all’Hardcore, mette in fila una quantità infernale di parole con una rapidità di pronuncia che farebbe impallidire molti rappers odierni; non potrebbe essere altrimenti, visti i ritmi forsennati che caratterizzano le tracce di “Biermächt”. I brani, sempre e comunque indiavolati, spesso si orientano verso un Thrash Metal più canonico e strutturato rispetto alle canzoni di “Shark Attack”; le tracce del primo album difatti risultano talvolta un po’ caotiche, vuoi per la produzione orgogliosamente raw, vuoi perché i Wehrmacht probabilmente anteponevano la voglia di fare baldoria alla qualità del songwriting. Le differenze tra i due dischi sono fondamentalmente queste: i pezzi di “Biermächt” presentano una costruzione leggermente più ragionata, se così si può dire, e soprattutto vengono valorizzati da una produzione più pulita, principalmente nella resa delle chitarre e della martellante batteria del velocissimo Brian Lehfeldt, non a caso seduto dietro alle pelli in due lavori dei Cryptic Slaughter successivi a “Biermächt” (“Speak Your Peace” del 1990 e l’EP di brani cover “Band in S.M.”, datato 2003). Il vantaggio di una produzione più levigata permette inoltre di capire meglio cosa stiano facendo i musicisti, confermando quindi ciò che già si sospettava ascoltando l’album precedente: i Wehrmacht sanno cosa fanno quando prendono in mano i loro strumenti. Il lettore curioso che ha colto il doppio senso non tema di aver capito male: il volgarotto gioco di parole è assolutamente cercato e voluto, a dimostrazione del fatto che il binomio birra+metal può corrompere anche le menti dei recensori ormai nel mezzo del cammin di loro vita. E’ impossibile d’altronde rimanere seri davanti alle perle distribuite dai Wehrmacht in questo disco: tanto per fare un esempio, la già citata “Beermacht”, una delle canzoni più furiose di tutto il lotto, viene inaspettatamente introdotta da una spregiudicata riproposizione dei primi secondi di “Detroit Rock City” dei Kiss. Aggiungo ai pregi del disco l’accessibilità: data la limitatissima durata di circa 27 minuti, e nonostante l’enorme muro di suono eretto dagli strumenti, bastano un paio di ascolti ravvicinati per garantire ai fans l’appropriazione di molte delle linee melodiche, rendendo gli ascolti successivi sempre più gradevoli e appaganti. Volendo a questo punto tirare le somme, devo ammettere come il recupero dei dischi dei Wehrmacht abbia evidenziato due vantaggi: mi sono trovato davanti a prodotti musicali che, oltre ad essere efficaci nell’esorcizzare le frustrazioni prodotte dalla vita quotidiana, si sono rivelati carichi di importanza storica. I Wehrmacht, senza mai prendersi troppo sul serio, hanno consegnato ai posteri musica spensierata e divertente ponendo contemporaneamente alcune basi per le successive declinazioni del Metal estremo, e scusate se è poco…buon ascolto a tutti!
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