Recensione: Big Life
Un nome talvolta un po’ sottovalutato e scarsamente preso in considerazione quello di Steve Newman, songwriter, musicista e cantante AOR di scuola britannica, autore a tutt’oggi di ben sette album con il proprio progetto solista.
Reduce dal buon “Art Of Balance” edito nel corso del 2010 e nel pieno dell’opera di preparazione del nuovo capitolo – previsto per la prossima estate – il momento transitorio si è rivelato propizio per la fugace messa in atto di un side project con il vecchio compagno d’avventure Mark Thompson Smith, singer noto per i trascorsi con i seminali Praying Mantis e per un’importante serie di collaborazioni illustri, attuate per lo più in territori statunitensi.
Inutile ricercare una forma eccessivamente elaborata per descrivere la sostanza primaria di un progetto come Big Life e del susseguente album di debutto. Chi conosce almeno in parte le opere realizzate sin qui da Newman, avrà in effetti, un quadro già ben chiaro della possibile derivazione stilistica posta in essere. Coloro invece, rimasti indifferenti alla lettura del nome del bravo chitarrista e compositore inglese, potranno coglierne le coordinate valutando una semplice quanto stringata descrizione
Un impasto musicale intriso di stile e dall’approccio immediato, che non reca sorprese di particolare ordine e natura, preferendo navigare con coerenza entro i confini di un canonico melodic rock di maniera, sempre piacevole, seppure del tutto ordinario.
Sfacciatamente affine agli stessi Newman, talvolta accostabile agli altrettanto pregevoli Heartland e con, guarda caso, qualche lieve inflessione ascrivibile ai Praying Mantis, il progetto Big Life mantiene, dopo tutto, ciò che promette alla partenza. Una manciata di buone canzoni dal taglio – chiaro sin dalla bucolica copertina – “facile”, ottime soprattutto per un ascolto disimpegnato in cui anteporre scorrevolezza e fluidità a qualsiasi altro carattere specifico.
Il rischio, come ovvio, è quello di proporre una miscela dalla forma scontata e sin troppo familiare, in cui tutto è manifesto prima ancora del dovuto approfondimento. Limiti che tranciano un po’ la possibilità del disco d’offrire emozioni profonde e durature, costretto il tal modo, ad apparire come una sorta di diversivo di discreto valore ma privo d’enormi e significative pretese di successo.
Qualche brano gradevole, incastonato principalmente nella parte “alta” della scaletta, garantisce alla prima uscita dei Big Life un complesso qualitativo comunque più che accettabile. “Close To You”, “I’ll Still Be Here”, “Feel Alive”, “Deep Water” e “At The End Of My Rainbow” sono, infatti, canzoni molto ben costruite nella loro semplicità, fondate sulla verve chitarristica di Newman e sull’inconfondibile stile arioso e solare del suo songwriting, quello che, come già sottolineato in apertura, permea da sempre ogni release a lui riconducibile da parecchi anni a questa parte.
Nell’insieme, una prima uscita di discreto livello, nella quale riconoscere sprazzi d’innata classe, qualche momento di buon AOR prodotto con perizia e parecchi passaggi d’ordinaria – per quanto piacevolissima – amministrazione.
Senza dubbio non male insomma, tuttavia, l’idea che forse qualcosa di più incisivo fosse alla portata, o almeno, qualcosa di più emozionante e meno prevedibile, permane integra anche dopo aver apprezzato le doti interessanti di questa collaborazione estemporanea, destinata probabilmente ad un unico e fuggevole episodio.
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Tracklist:
01. Dying Day
02. Close To You
03. Better Man
04. Calling
05. I’ll Still Be Here
06. Feel Alive
07. Deep Water
08. At The End Of My Rainbow
09. Leaves
10. Stop In Time
11. Takin’ Me Down
12. Nothing Without You
Line up:
Mark Thompson-Smith – Voce
Steve Newman – Chitarra / Basso / Tastiere / Cori
Rob McEwen – Batteria / Percussioni