Recensione: Biographyte

Di Nicola Furlan - 16 Aprile 2025 - 8:00
Biographyte
Band: Cytotoxin
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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72

Con “Biographyte“, i technical death metaller sassoni Cytotoxin firmano il loro quinto album in studio e proseguono la loro lunga esplorazione tematica legata ai disastri nucleari, un concept che li accompagna fin dagli esordi. Dopo il buon riscontro ottenuto con “Nuklearth” (2020), probabilmente il loro capitolo più riuscito, le aspettative erano alte, ma il risultato, questa volta, lascia un retrogusto un po’ amaro.
È doveroso ricordare che tutto ciò che esce da Unique Leader Records porta con sé un marchio stilistico ben definito, orientato verso una certa idea di estremismo tecnico e produttivo. Perciò è importante collocare la valutazione di “Biographyte” sapendo che ci si muove in un territorio già profondamente codificato, per non dire canonizzato.
Tecnicamente impeccabile, “Biographyte” è un esercizio di precisione chirurgica: riff frenetici, sezioni ritmiche millimetriche, produzione levigata e un impatto sonoro devastante. Eppure, nonostante questo armamentario, manca qualcosa. L’album suona come un’enciclopedia del technical death metal più estremo, ma priva di una vera anima. Anche il titolo lascia trapelare questa sensazione: “Biographyte” sembra alludere a una sostanza tossica, composta da memorie registrate nel DNA e dolore radioattivo, qualcosa di freddo, sintetico, inaccessibile all’empatia umana.
Il concept, incentrato, supponiamo, sulle conseguenze del disastro di Černobyl (…la grafite ha avuto un ruolo cruciale nell’incidente di Černobyl del 1986 e il suo comportamento è stato determinante per la gravità del disastro) e sulle storie umane che ne sono derivate nel corso dei decenni successivi, avrebbe potuto offrire uno spessore emotivo raro per il genere. Tuttavia, i contenuti restano soffocati da una produzione troppo pulita e da una scrittura più interessata a impressionare che a coinvolgere. “Biographyte” avrebbe potuto essere una narrazione biografica potente, ma risulta invece distante, quasi clinica.
Tutti i pezzi, in particolare “Hope Terminator” e “Condemnesia“, offrono passaggi di grande virtuosismo (a tratti si coglie il flavour dei Necrophagist…), ma la sensazione dominante è quella di una band che si perde nei meccanismi del proprio stile, schiacciata da una tecnica che finisce per diventare autoreferenziale. Il growl è potente, ma monocorde; le strutture si somigliano e l’atmosfera, potenzialmente opprimente, viene sterilizzata da un mix troppo controllato. Va bene mettere in evidenza l’abilità tecnica, ma nel complesso il disco suona sterile. Ed è un peccato pensare al potenziale di una band che è in grado di dar vita, ad esempio, ad un brano come “Deadzone Desert“, stupendo intramezzo dal poetico senso di desolazione e tossicità che dimostra come brani maggiormente arricchiti da passaggi ‘atmosferici’ di tal fattura avrebbero preso una dimensione totalmente diversa in termini qualitativi.
Mixaggio e masterizzazione sono perfetti, in linea con quanto ci si aspetta dalle band che approcciano a questa derivazione del death metal. I lavori si sono svolti presso i Mendel Audio (Degenerate, Oracles, ROT, Aborted).
Per chi cerca una narrazione autentica o un minimo di pathos dietro le note, “Biographyte” rischia di apparire come un esercizio di stile: una macchina perfetta che corre a tutta velocità, ma senza una direzione pur lasciando trasparire un potenziale che li eleverebbe a ‘Maestr’ del genere. Tanto bravi ma, perlomeno a mio gusto, dati i mezzi, apprezzerei molto un salto compositivo un po’ più fuori dall’ordinario proprio su quel pathos che, ascolto alla mano, è ampiamente alla portata del quintetto, ma che ancora latita ad emergere.

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