Recensione: Biolume Part 1 – In Tartarean Chains
“Oh ma esce pure il Midnight Odyssey a novembre?”
“Eh già, in questa fine di 2019 sta uscendo di tutto.”
“Beh dai, almeno coi Midnight Odissey ci va meglio del solito.”
“In che senso?”
“Il disco dura solo 71 minuti!”
Forse avete capito dove voglio andare a parare, ma senza giraci troppo intorno, doversi sparare (a più riprese e a breve distanza di tempo) due ore e mezzo di atmospheric black metal per recensire un album è un’impresa titanica. E questo è paradossalmente il miglior biglietto da visita per il progetto australiano Midnight Odissey. Presenta bene l’umano che vi sta alle spalle: un tal Dis Pater che, pur di essere anticommerciale, a ogni album butta fuori un doppio da due ore e mezza e che se proprio deve fare un’ep si cura di fargli sforare i 60 minuti. E presenta pure il livello qualitativo del progetto: perché, se in un genere logoro e ripetitivo come il post black, a ogni uscita, ci sono dei poveri cristi che si assumono la sbatta di ascoltarsi ‘sto popò di roba, vuol dire che l’umano è bravo.
Ora, come mai questo disco, che pure è un album, non è doppio? Semplice: è il principio di una trilogia (e un po’ mi immagino i tipi della I, voidhanger records che gli dicono “no, un triplo album da quattro ore non te lo pubblichiamo!”).
Ed ecco qua “Biolume Part 1 – In Tartarean Chains”, 7 pezzi di cui ben due sotto i dieci minuti, con a contorno l’ormai classico artwork in stile naïf. Anche il sound è quello tipico del progetto, sebbene così tipico, per l’atmoblack, non sia: uno strano miscuglio di Caladan Brood, produzione grezzissima, tastiere onnipresenti e cori puliti, dilatati, sognanti, che non so per quale motivo a me paiono un incrocio tra certi Pink Floyd (non so bene quali) e il Kristof Rygg di “Aspera Hiems Symphonia” intenti a coverizzare i Bathory. Uno strano black atmosferico dalle tinte cosmiche con una vaga spruzzata di prog. E questo spiega perché a questo progetto ci si torna volentieri.
Di fatto però questo primo Biolume presenta delle crepe. È un album gelido, dunque vicino al precedente “Shards of Silver Fade”, e molto meno colorato del debut “Funerals from the astral Sphere”. Al solito, è un album tenuto in piedi da melodie facilmente orecchiabili, eppure ci troviamo innanzi a diffusi momenti di noia.
Ci sono, ovviamente, episodi davvero meravigliosi, come la conclusiva “Pillars in the Sky”, pezzo affascinante costruito su una singola, lunga e malinconica strofa in clean. Va senza dubbio citata “A Storm Before a Fiery Dawn”, sicuramente il pezzo da consigliare ad occhi chiusi, che parte con tastiere alla Summoning di “Oath bound” e arriva ad un ritornellone epico che rimane in testa per giorni. Anche “When Titans fall” colpisce per le sue melodie molto dinamiche e anche un po’ atipiche per il black.
Il resto funziona decisamente meno del solito. Sostanzialmente tutti gli altri brani, pur mettendno in mostra ottimi cori e ottima melodia, partono in sordina, e decollano, quando va bene, dopo tre minuti (quando va male dopo sei). E si parla di composizioni che durano dieci/undici minuti, non delle cavalate da venti minuti di “Shards of Silver Fade”.
Sicché per un bel po’ di tempo ci si annoia. Questo primo capitolo della trilogia di Biolume, pur mettendo in mostra tutti i punti di forza della Midnight Odyssey, mostra anche un po’ la corda qua e là, dunque non convince a pieno. Sarà sicuramente nostra cura proseguire nell’ascolto delle prossime uscite, magari con la speranza di notare delle differenze tra i vari capitoli. Ma al momento, al netto di una sufficienza raggiunta con relativa facilità, permangono diversi dubbi.