Recensione: Birth

Di Marco Tripodi - 5 Novembre 2016 - 21:20
Birth
Band: Red Fraction
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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72

Alessandrini, con appena un paio d’anni di vita alle spalle, eppure già al debutto discografico con la greca Sleaszy Rider Records, la quale licenzia il battesimo dei Red Fraction, la nascita discografica, “Birth” per l’appunto. La band prende forma e si sviluppa attorno a Martina Riva (voce) e Leandro Spedicato (chitarra), elementi cardine del gruppo, il cuore pulsante che aggrega il resto della formazione. Le note promozionali della label non rendono un buon servizio ai Red Fraction, troppo sbrigativamente accostati a Lacuna Coil ed Evanescence, ma anche a Nickelback, Five Finger Death Punch, Korn, Bullet For My Valentine, un drappello di nomi che spaventa alquanto se non si è in buoni rapporti col rock modaiolo, alternativo e dotato di appeal mediatico.

Ora, sebbene il rimando a Lacuna Coil ed Evanescence si possa banalmente spiegare con la presenza della frontwoman e per quanto sia indubbio che il sound dei Red Fraction abbia in sé (anche) elementi di modernità e financo un suo flavour alternative, l’associazione tout court a quello squadrone di avanguardisti del metal-pop-core ha più a che fare con lo scafato marketing promozionale che con una fedele trasposizione di fatti reali. Sin dall’incipit “Plastic” (preceduta dall’immancabile intro, anzi un “preludio”) appare chiarissimo quanto i Red Fraction tengano al metal ed abbiano i piedi ben saldi nella musica hard ‘n’ heavy. “Hunter”, “Night Won’t Hold Me”, “Shooting Star”, “Holy”, garantiscono un riffing poderoso, avvolgente che ha accenti power metal piuttosto evidenti, pur non (auto)limitandosi al compitino ben fatto di un genere che deve imporsi steccati e dogmatici cliché di riferimento. Questa impostazione mi ha ricordato i Power Symphony di “Lightbringer” (2000) e “Futurepast” (2002); anche in quel caso avevamo una coppia formata da chitarrista e cantante donna, metallers forgiati nell’acciaio che tuttavia erano in cerca di una strada che traghettasse stilemi dal passato antico verso la modernità. 

“Birth” è un lavoro brillante, ricco di talento e idee, ben suonato e ben prodotto. La Riva alterna strofe risolute, affrontate con smalto e determinazione, a ritornelli intelligenti, capaci di far virare d’un tratto l’intera canzone verso soluzioni melodiche mai scontate o inutilmente patetiche (nel senso di eccessivamente ricche di quel pathos  un po’ goffo e grossolano che appesta il songwriting di qualcuna delle band 2.0 citate in apertura di recensione), bensì dotate di personalità e intensità. “The Hermit And The Justice” sia d’esempio in tal senso. Bisogna concedere al disco qualche ascolto per andare oltre il primo impatto di una produzione molto contemporanea, che altrimenti rischia di far attribuire etichette poco calzanti a “Birth”

La scaletta ordita dai piemontesi mesce in modo fluido heavy metal, spunti alternative (“Lost Broken Doll”, “Apollo 7”) e persino reminiscenze hard rock (“What You Wanted”); non parlerei tuttavia di alcuna parentela con i Lacuna Coil o similari, davvero forzata e brutale (niente bassi slabbrati, niente break spacca collo, niente chitarre ribassate, niente psicopatologie depressive). I Red Fraction fanno capo a sé, non hanno bisogno di paracadute o salvagente (il salvifico potere taumaturgico di Cristina Scabbia e compagni), la loro musica è solida e forte abbastanza per ritagliarsi un proprio spazio e spettinare quel pubblico che non era preparato a tanto carattere e temperamento. Per quanto mi riguarda un più che valido debutto discografico, coraggioso nello sfidare tanto l’ascoltatore “vecchio” e nostalgico quanto quello “nuovo” e post tutto, l’un contro l’altro armati e sospettosi. I Red Fraction sono una felice sintesi di ciò che il metal è stato e può essere, il peso specifico del passato e lo sprint della modernità. Meritano una chance.

Marco Tripodi

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