Recensione: Birth of Malice

Di Roberto Castellucci - 7 Marzo 2025 - 10:00
Birth of Malice
Band: Destruction
Etichetta: Napalm Records
Genere: Thrash 
Anno: 2025
Nazione:
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78

I Destruction mi hanno tenuto compagnia in un periodo ricco di cambiamenti. Era il 2001 e, pur avendo già 22 primavere e qualche anno di Università sul groppone, intuivo che non ero ancora pronto per affrontare seriamente un proficuo percorso studentesco. Volevo conoscere il mondo e provare sulla mia pelle cosa significasse essere indipendente. Mollai temporaneamente gli studi e mi diedi da fare per trovare un lavoro, così da accrescere il mio potere di acquisto. L’obiettivo era trascorrere una giovinezza all’insegna di sex, drugs and Rock ‘n’Roll; la vita, manco a dirlo, si rivelò poverissima di sex and drugs e ricca di Rock’n’Roll. L’eccellente e violentissimo “The Antichrist” dei Destruction, pubblicato ad agosto 2001, fu la colonna sonora perfetta in quel momento di grandi decisioni e ancor più grandi aspettative. Era anche giunta l’ora di togliermi di mezzo il servizio di leva obbligatorio, non essendo più possibile effettuare rinvii per motivi di studio. Poco prima di trasferirmi in caserma approfittai del periodo di relativa libertà ‘pre-naja’ per respirare l’aria tedesca del festival Wacken Open Air. Dire che andai a Wacken solo per vedere i Destruction dal vivo sarebbe azzardato, però la presenza della band nel ricchissimo bill della tredicesima edizione del W:O:A mi spronò non poco a comprare un biglietto InterRail verso la Germania del Nord. Due settimane dopo il ritorno dal Wacken partii per ‘fare il militare a Milano’: mi divertii come un matto passando dai normali servizi d’istituto a fenomenali nottate negli storici templi meneghini del Metallo come il Rolling Stone, il Transilvania Live e il tuttora vivo e attivissimo Alcatraz. La mia copia in CD di “The Antichrist” mi accompagnò fedelmente anche durante quei mesi in uniforme. Quel disco per me è e rimarrà il miglior album dei Destruction, considerando il diluvio di ricordi che si scatena nella mia memoria ogni volta in cui lo estraggo dallo scaffale. Quando i Destruction danno alle stampe un nuovo album non posso fare a meno di metterlo a confronto con quel capolavoro; sinceramente non ho ancora trovato un successore degno di scalzare “The Antichrist” dalla prima posizione sul podio.

Va detto come la discografia dei Destruction, con buona pace dei fan più sfegatati, annoveri qualche episodio non proprio riuscitissimo. Sulla produzione precedente a “The Antichrist” non c’è molto da dire: la strada delle pietre miliari del Thrash Metal attraversa obbligatoriamente i mitici solchi di “Sentence of Death”, “Infernal Overkill”, “Eternal Devastation” e via dicendo, forse con qualche riserva quando si parla di “Cracked Brain” del 1990, album a dir poco interlocutorio caratterizzato dall’assenza del buon Schmier, impegnato all’epoca nel side project Headhunter. Non penso sia nemmeno il caso di citare il famigerato “The Least Succesful Human Cannonball” del 1998, bandito persino dalla sezione ‘releases’ nel sito ufficiale della band. Passando direttamente a “All Hell Breaks Loose” del 2000 ci troviamo davanti ad un comeback con i contro fiocchi, senza dubbio capace di anticipare positivamente la grandezza di “The Antichrist”. L’erede di “The Antichrist”, “Metal Discharge” del 2003, si rivelò gradevole senza esaltarmi più di tanto; il successivo “Inventor of Evil” del 2005 mi fece di nuovo drizzare le orecchie…fino alla delusione rappresentata da “D.E.V.O.L.U.T.I.O.N.”, disco dall’ahimè eloquentissimo titolo datato 2008. Qualche segnale di ripresa si ebbe con “Day of Reckoning” del 2011, subito ridimensionato dal mediocre “Spiritual Genocide” del 2012. Una lunga pausa di quattro anni diede il tempo ai Nostri di elaborare “Under Attack”, album accolto un po’ freddamente da critica e fan. Fortunatamente, con “Born to Perish” del 2019 e in particolar modo con “Diabolical” del 2022, il gruppo ci ha regalato una doppietta di opere gradevoli. Non era così scontato che la vena creativa dei Destruction si dimostrasse ancora fertile, soprattutto alla luce dei recenti terremoti nella formazione. È opportuno ricordare come la band sia tornata ad essere un quartetto con “Born to Perish”; la struttura a quattro elementi fu introdotta per la prima volta con l’EP “Mad Butcher” del 1987 per poi venire abbandonata con la pubblicazione del succitato “All Hell Breaks Loose”. Ancora più significativo è stato lo sconvolgimento causato dall’inaspettata e ‘chiacchierata’ fuoriuscita dalla band del chitarrista nonché membro fondatore Mike Sifringer, allontanatosi dal gruppo prima della pubblicazione di “Diabolical”.

La formazione responsabile dell’ultimo “Birth of Malice” è la medesima accreditata nel booklet di “Diabolical”, con Damir Eskić e Martin Furia alle chitarre e Randy Black alla batteria. I singoli pubblicati finora come ‘antipasto’ mi avevano lasciato una certa acquolina in bocca. La canzone “Destruction”, che a quanto pare è la prima self titled track pubblicata dalla band, e “No Kings – No Masters” sono un bel paio di galoppate coinvolgenti e arrabbiate, proprio come piace agli incorreggibili amanti del Thrash ad alta velocità. I brani “Scumbag Human Race” e “A.N.G.S.T.” appaiono invece robusti, cadenzati e sicuramente utili per variare positivamente l’esperienza di ascolto. “Scumbag Human Race” si distingue in modo particolare per la presenza di una certa malignità di fondo, non molto distante dalle mefitiche e crudeli intuizioni di alcuni recenti album degli Slayer. “Scumbag Human Race” fa da contraltare alla scatenata cover di “Fast As a Shark” dei connazionali Accept; la riproposizione di questo grandissimo classico mi ha strappato qualche sorriso grazie all’azzeccata e doverosa scelta di mantenere inalterato il canto tradizionale introduttivo. I Destruction hanno spesso arricchito i loro album con parecchie cover e in questo senso “Birth of Malice” si inserisce in una tradizione quarantennale; basti pensare, tanto per citare un paio di esempi non strettamente classificabili con l’etichetta ‘Metal’, alle versioni di “City Baby Attacked by Rats” dei GBH, contenuta in “Diabolical”, e “The Damned” dei Plasmatics, seconda traccia dello storico EP “Mad Butcher”.

Più che soffermarmi sulla qualità più o meno alta delle cover registrate dai Nostri, preferisco sottolineare la scelta del brano da coverizzare in “Birth of Malice”. Quale messaggio hanno voluto diffondere i Destruction selezionando un inno siderurgico come “Fast As a Shark”? Gli artisti del Thrash Metal negli ultimi periodi hanno capito come l’unica formula vincente sia quella inventata e insegnata dai grandi maestri attivi tra la fine degli anni ’70 e l’inizio anni ’80, Destruction inclusi. Presentarsi nel 2025 con “Fast As a Shark” nella tracklist di un album sembra confermare il desiderio da parte dei Nostri di far sentire ancora forte e chiara la loro presenza nella galassia del Metal ‘puro e duro’, quasi a voler ribadire un concetto già espresso con forza nel brano “The Alliance of Hellhoundz” contenuto in ”Inventor of Evil”. La canzone era un sorta di “We Are the World” in salsa Metal, con una lista di ospiti lunga come una Quaresima infernale che comprendeva, tra gli altri, Biff Byford dei Saxon, Messiah Marcolin dei Candlemass, Paul Di’Anno, Shagrath dei Dimmu Borgir e chi più ne ha più ne metta. Persino il testo della canzone “Destruction” mette sul piatto le medesime riflessioni: Schmier ci ricorda come la sua band composta da ‘anime forgiate nell’acciaio’ e le sue canzoni di ‘puro Metallo’ fossero presenti fin dalla nascita della scena. Le ultime fotografie rintracciabili in rete, inoltre, ritraggono i membri della band che, notevolmente appesantiti da borchie e catene, trasudano ‘old school’ da tutti i pori. Intitolare per la prima volta una traccia con il nome del gruppo, riproporre classici di 45 anni fa, sbattere nuovamente il Demonio in prima pagina al posto della mascotte Mad Butcher: sembra proprio che i Destruction con “Birth of Malice” abbiano deciso di sottolineare in tutti i modi che le diaboliche atmosfere di “Sentence of Death” e del demo del 1984 “Bestial Invasion of Hell” non sono mai state dimenticate. Non parliamo soltanto delle origini del sound dei Destruction: ricordando questi seminali lavori stiamo parlando anche delle origini di un modo di ‘diffondere il verbo’ che tanto influenzò anche la famigerata seconda ondata del Black Metal scandinavo. Persino il pentacolo e il satanasso ritratti nell’artwork realizzato dall’artista ungherese Gyula Havancsák, che in passato abbiamo visto al lavoro per Accept, Kreator e Blind Guardian, sembrano guardare ad un’epoca in cui gruppi come Venom e Mercyful Fate diffondevano in tutto il mondo, non senza una buona dose di autoironia, la loro musica impregnata di zolfo.

Togliamoci subito il dente: “Birth of Malice” non è il nuovo “Eternal Devastation” e, come già sospettavo, non sposterà “The Antichrist” dal vertice del mio Olimpo musicale…però, per dirla in modo assai professionale, ‘funziona’ molto bene. Il disco scorre piacevolmente e mostra quanto la nuova incarnazione dei DestructionSifringer free’ si stia affiatando sempre di più. Le suggestioni Heavy che contraddistinguevano “Born to Perish”, opportunamente rivedute e corrette in modo da risultare meno melodiche e più sanguigne, danno vita con la loro intensità un muro del suono notevole. Fin dal primo ascolto ci si accorge come le chitarre e gli elementi della batteria (soprattutto i piatti, stando alle mie povere orecchie di mezz’età) siano stati parecchio valorizzati in fase di produzione: questi accorgimenti rendono “Birth of Malice” compatto e pesante come raramente si è sentito nella discografia dei Destruction. Uno degli aggettivi che viene utilizzato più spesso nelle recensioni dei dischi Thrash Metal è ‘tagliente’. Sonorità ‘taglienti’, riff ‘taglienti’,…talvolta, quando abbiamo disperatamente bisogno di trovare sinonimi, usiamo soluzioni dal significato simile, come ad esempio l’inflazionatissima espressione ‘affilati come rasoi’. Io stesso ho usato volentieri questi termini, semplicemente perché rendono molto bene l’impressione che scaturisce dall’ascolto della maggioranza dei dischi Thrash pubblicati dagli anni ’80 a oggi. Per descrivere “Birth of Malice”, invece, l’aggettivo che mi è venuto in mente alla prima riproduzione è stato ‘massiccio’. Alcuni passaggi di “Birth of Malice” compiono una parziale virata verso territori sonori più oscuri rispetto a quelli esplorati in “Born to Perish” e “Diabolical”, alimentando un clima di minaccia imminente particolarmente adatto ai tempi che stiamo vivendo. Attenzione: non sto dicendo che i Destruction abbiano iniziato a suonare Death Metal, intendiamoci. “Birth of Malice” si inserisce a buon diritto nella vena più distruttiva e battagliera del Thrash di matrice teutonica, immettendo però in questo aggressivo canone alcuni spunti interessanti. I Destruction arricchiscono le loro trame sonore con una gradita dose di groove che rende particolarmente stimolante l’ascolto del disco nella sua interezza. Il metronomo non rallenta solo nelle già citate “Scumbag Human Race” e “A.N.G.S.T.”: la seconda parte della tracklist presenta brani in cui la ‘pesantezza’ a cui accennavo qualche riga fa si impadronisce del songwriting. Brani come “Evil Never Sleeps”, “Chains of Sorrow” e la solenne “Dealer Of Death” dimostrano come i Destruction nel 2025 se la sappiano cavare piuttosto bene anche con pezzi dall’andamento marziale e più ‘ragionato’, per così dire. “Dealer Of Death” è un vero e proprio macigno dedicato alla controversa storia dell’azienda tedesca BASF, notissima costruttrice di audiocassette nel ‘vecchio mondo analogico’ di 30/40 anni fa…nonché produttrice, quando il suo nome era I.G. Farben AG, del famigerato gas Zyklon B usato nei campi di sterminio nazisti.

Nonostante la copertina mefistofelica i testi di “Birth of Malice” non evocano direttamente il Demonio. Il tema portante del disco sono le diavolerie concepite dall’Umanità con le quali, per dirla brevemente, ci stiamo scavando la fossa da soli. Avarizia, abusi di potere, fondamentalismi religiosi, scriteriata digitalizzazione di molti aspetti della vita: ecco le ‘malizie’, ovvero le malvagità citate nel titolo dell’album, da cui dovremmo tenerci ben lontani grazie ai Destruction. Cannonate come “Cyber Warfare” e “God of Gore” si rivelano ottime per raggiungere quest’obiettivo ed è impossibile non cogliere il messaggio urlato a pieni polmoni da Schmier, la cui voce fa bella mostra di sé in tutte le tracce del disco. La prestazione vocale del bassista/cantante risulta particolarmente sentita nella curiosa canzone “Greed”, giocata sul contrasto tra rabbiose sfuriate Thrash e un paio di malsane strofe ballabili dal vago sentore funky. Il brano parla della ‘droga’ del successo, capace di trasformare musicisti giovani e appassionati in adulti avidi, speculatori e ipocriti il cui unico destino sembra essere la solitudine. Il testo di “Greed” si inserisce perfettamente nel messaggio portato avanti da molte tracce di “Birth of Malice” e conclude la serie di ‘produzioni originali’ in esso contenuta. Spetta alla cover di “Fast As a Shark”, infatti, chiudere definitivamente un album stimolante, potente e ricco di sorprese, alla faccia di chi pensa che il Thrash Metal abbia esaurito tutto il suo potenziale con l’arrivo del Grunge e del Nu-Metal a cavallo tra gli anni ’90 e i ‘primi 2000’. L’ultima fatica in studio dei Destruction è un prodotto di buona qualità che esige di essere ascoltato più volte. “Birth of Malice”, in un presente musicale caratterizzato da opere che spesso finiscono dimenticate sugli scaffali dopo un primo ascolto, riesce a crescere ogni volta in cui premiamo il tasto play, confermando così la bontà del percorso intrapreso dal gruppo nel corso degli ultimi anni. Molte altre band storiche, non solo in ambito strettamente Thrash, sembrano inserire un po’ troppo spesso il pilota automatico quando il numero dei full length pubblicati supera le quindici unità, limitandosi a fare ciò che ci si aspetta da loro e nulla più. Fortunatamente questo discorso non vale per i Destruction, che arrivati al sedicesimo album mostrano di aver ancora un mucchio di buone carte da giocare. Lunga vita ai Destruction e buon ascolto a tutti!

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