Recensione: BK3
Virtuoso artista delle sei corde, Bruce Kulick appartiene alla schiera dei rockers di maggior spessore e prestigio, in forza di una carriera che lo ha visto spesso protagonista d’uscite musicali di un certo interesse, sebbene mai baciate da estrema popolarità o clamore.
Fama che Kulick ha naturalmente assaggiato a piene mani nel lungo periodo di militanza nella line up dei leggendari Kiss, band della quale ha fatto parte per oltre un decennio – la famosa epoca senza face painting – prima di distaccarsene ed inaugurare un percorso musicale solista, caratterizzato dalla creazione degli Union (con John Corabi, meteora nei Mötley Crüe) e dall’uscita di alcuni solo album, solitamente accostati a tendenze più moderne ed attualizzate rispetto al tradizionale hard rock delle origini.
“BK3”, come riferito esplicitamente dal titolo stesso, è la terza apparizione del guitar hero statunitense in una release interamente a proprio nome, costellata, come si conviene ad un navigato ed esperto frequentatore della scena rock, da un buon numero di collaborazioni illustri ed ospitate di rilievo.
Gene Simmons ed Eric Singer, vecchi compari di scorribande, John Corabi, anch’egli amico di vecchia data, Tobias Sammet, Nick Simmons (figlio dell’immane Gene), Steve Lukather e Doug Fieger (singer dei The Knack), sono i guest chiamati a vario titolo con il compito d’impreziosire l’opera, comprimari di lusso nella riuscita di un disco non teso al raggiungimento di vertici assoluti, ma comunque capace di mettere a segno un complesso di canzoni il più delle volte piacevoli, orientate verso un rock evoluto a tratti roccioso e rombante, che non disdegna talora la puntata verso melodie di facile presa ed ampio respiro.
A differenza della gran parte degli album realizzati da un esperto guitar player, non è in effetti, la pura tecnica a distinguersi quale elemento principe del songwriting posto in essere, quanto piuttosto la concreta ricerca di una amalgama sonora che, mantenendo inflessioni costantemente modellate intorno ad un profilo “moderno”, possano condire il disco di buone melodie e canzoni in grado di garantire adeguati quantitativi di energia, ritornelli e riff di buona efficacia ed impatto.
L’operazione riesce sin da subito. L’opener “Fate” è un brano hard rock scalciante e veloce, dai suoni estremamente potenti ed attuali in cui la lezione del vecchio glam viene riproposta in stile nuovo millennio, senza tuttavia, disdegnare il giusto apporto in termini d’orecchiabilità e dinamismo.
Non sono distanti gli Union, side project concepito con l’amico Corabi: il cd è un perpetuo rimando all’esperienza maturata con l’ex singer dei Mötley Crüe, come ben evidenziato dalle trame post-grunge di “Ain’t Gonna Die” (cui non mancano ispirazioni Led Zeppeliniane) e “Friend Of Mine”, interpretate rispettivamente da mr. “miliardo” Gene Simmons e, guarda caso, proprio dallo stesso John Corabi, citato poc’anzi.
Ma è con episodi come la successiva “Hand Of Kings” (eccellente Nick Simmons al microfono) che “BK3” mostra le proprie caratteristiche migliori, in virtù di una miscela che si alimenta d’insospettabili riferimenti blues frammisti a rocciosissimo e tetragono hard rock, su cui spicca un refrain strisciante e morboso, avvolto da un incedere ipnotico e quasi sulfureo.
Non manca poi, nemmeno la varietà. “I’ll Survive” e “Dirty Girl” sono due composizioni antitetiche e di diversissima concezione: ballata crepuscolare, intimista e sommessa la prima; gioiosa al limite del pop-rock da spiaggia la seconda.
“Final Mile” mantiene ancora un profilo cantautoriale con coro ad ampio respiro, mentre il secondo highlight del platter si concretizza con la rovente “I’m The Animal”, traccia battezzata dal sempreverde Eric Singer alle pelli e dalla voce versatile e, mai come in questo caso “hard rock”, dell’ottimo Tobias Sammet, folletto tedesco ormai avvezzo alle partecipazioni di lusso.
Portano alla conclusione un album decisamente gradevole e ben costruito, un pugno di pezzi assestati su livelli di buonissima fattura, ognuno con peculiarità e caratteri propri.
“And I Know” rinverdisce stilemi orecchiabili e di facile assimilazione, mentre lo strumentale “Beteween The Lines”, offre uno dei rari episodi d’effettiva celebrazione chitarristica per Kulick, omaggiato dalla presenza del grande Steve Lukather in un brano a cavallo tra funky, jazz e rock che evidenzia la bravura, ma soprattutto il buon feeling, dell’artista statunitense.
Chiudono, l’elegante e cadenzata “Life”, pezzo un po’ country dai sapori alla Tom Petty e la bonus track “Skydome”, ulteriore momento strumentale ancora una volta venato di funky, modern rock ed afflati blueseggianti.
“BK3” è in definitiva, un album che non stupisce per sensazionali trovate o tocchi d’originalità estrema, ma sa conquistare di ascolto in ascolto, proponendosi come un interessante collage di canzoni realizzate con grande mestiere e competenza.
Un ritorno dignitosissimo insomma per Bruce Kulick, con un prodotto che risulterà gradito agli amanti del rock solido e “corposo”, comunque “oliato” da abbondanti soluzioni melodiche, studiate appositamente per garantire un adeguato apporto in termini di scorrevolezza e pronta fruibilità.
Forse non un capolavoro, tuttavia il tipico cd che fa piacere avere nello stereo e a cui, di tanto in tanto, si da ben volentieri un’ascoltata.
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Tracklist:
01. Fate
02. Ain’t Gonna Die (featuring Gene Simmons)
03. Friend of Mine (featuring John Corabi)
04. Hand of the King (featuring Nick Simmons)
05. I’ll Survive 4:48
06. Dirty Girl (featuring Doug Fieger)
07. Final Mile
08. I’m The Animal (featuring Tobias Sammet and Eric Singer)
09. And I Know
10. Between The Lines (featuring Steve Lukather)
11. Life
12. Skydome (Bonus track)