Recensione: Black Aurora
Nati dalle ceneri dei Marshall, band partenopea costituitasi intorno agli inizi del “nuovo millennio”, i newcomers Heavenshine pubblicano sotto la supervisione di Gerardo Cafaro – patron dell’Agglutination Festival – e per Fuel Records, l’album d’esordio dal suggestivo titolo di “Black Aurora“.
La radiosità del nome scelto dalla band, è contrapposta alla cupezza racchiusa nel titolo dell’opera prima, caratterizzata da un power metal sinfonico, gelido, elaborato e dagli intrecci musicali decisamente interessanti.
Massicci riff chitarristici, epiche orchestrazioni e una sezione ritmica precisa, sono alla base di un lavoro completato dalle notevoli armonie vocali, condotte dai bravissimi Marco Signore (anche alle tastiere) e dall’eccellente soprano Miriam Cicotti.
Il gruppo irrompe sulla scena con l’oscura opener “Atlantis Reloaded“, ottima nel presentare lo stile della band imperniato sull’ottima coesione dei musicisti coinvolti, in grado di generare un potente turbine dall’effetto “glaciale”,contraddistinto da melodie oscure e da numerosi cambi di tempo. Un amalgama che inevitabilmente sfocia in un chorus ipnotico ed in una serie successiva di assolo lancinanti di chitarra e tastiera.
La potenza sprigionata dalla traccia d’apertura, è mitigata dalla dolcezza della sublime “Bean Sidhe“, breve interludio strumentale guidato da un eccellente tappeto pianistico sul quale si adagia la meravigliosa voce della bravissima singer, in grado di trasportare l’ascoltatore in un oceano calmo e rilassante, del tutto evocativo. Emozioni che confluiscono poi nell’interessante title track, in cui il se stesso si mostra abilissimo nell’alternare riff più sostenuti a momenti più cadenzati che, ancora una volta, divengono lo sfondo delle belle melodie interpretate dai due cantanti.
I nostri riescono a bilanciare perfettamente potenza e melodia, divertendosi talvolta ad arricchire il proprio sound con sottilissimi tocchi di teatralità, notevoli e mai fuori luogo, proprio come evidenziato nell’articolata “Dreamscape“, traccia nella quale, insieme ai classici ingredienti tipici degli Heavenshine, si aggiungono anche delle leggere venature Prog, ben inserite nel contesto di un album ricercato e non di facile assimilazione.
La successiva “Phantom Of The Opera“ (cover del tema portante del musical di Andrew Lloyd Webber del 1986), prosegue il lavoro del combo italico, sempre attento a non offuscare la componente melodica del proprio sound, ben sottolineata nell’ottimo refrain, incastonato in una struttura intricata e ricchissima di cambi atmosferici.
Riprendendo le sonorità della già menzionata “Bean Sidhe“, la breve ed esclusivamente tastieristica “Sutekh Hetep“, arriva nuovamente a cullare l’ascoltatore, prima di cedere il passo alla diretta “When The Father Lion Mirrors The Stars“, ennesimo episodio di incandescente power metal, questa volta condotto prevalentemente dalla voce del tastierista Marco Signore, protagonista anche di un notevole duello solistico ingaggiato con la sei corde del bravo Giuseppe Vittorio Dardano.
Melodia, potenza e sottili venature prog sono nuovamente mescolate con abilità nella massiccia “Fear Me“, mentre la sublime e malinconica “Embrace Of The Sun“, mostra il lato più sinfonico del combo tricolore, per una ballad carica di emotività ed eleganza.
Le ultime fasi dell’opera,vedono protagoniste l’oscura e teatrale “Sang Real“ e la cadenzata “Lucania“, traccia conclusiva ottima nel porre nuovamente in risalto tutta la classe degli Heavenshine, gruppo che con quest’ultima ottima prova consegna al mercato discografico un prodotto notevole e ben confezionato, capace di reggere il confronto con il lavoro di molti colleghi più noti, connazionali ed internazionali.
Il sestetto sarà protagonista proprio nell’imminente edizione 2013 dell’Agglutination Festival: una buona occasione per testare dal vivo questo ottimo esordio.
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