Recensione: Black Cage
Irrompono nuovamente sul mercato discografico le milanesi Slut Machine, All-Female Band che scorazza per i palchi europei dal 2012 e che ha nel proprio carniere un primo EP dal titolo ‘Hang On’, uscito nel 2012, e due Full-Length: ‘Splatter Island’, del 2014, ed ‘Irrational’, del 2017.
Ora ritornano con ‘Black Cage’ un energico quanto scuro EP di sei tracce disponibile in formato digitale dal 26 giugno 2020 e prossimamente in formato CD, principale novità, ed anche essenziale direi, il passaggio da tre a quattro elementi, con l’inserimento di Sara Matera, in arte Ginger, dietro al microfono al posto di Xina, che va a concentrarsi pienamente sulla batteria.
Con questo nuovo lavoro le ragazze confermano la strada che intendono percorrere, passando dall’Hardcore Punk ribelle degli esordi ad una matrice più scura e pesante con riflessi psichedelici, strada che avevano già imboccato con il precedente ‘Irrational’.
In poche parole una sinergia di Alternative e di Stoner, giusto perché noi metallari amiamo etichettare tutto, che unisce elegantemente forza e melodia con la pesante distorsione elettrica di quel Dark Sound che ti avvolge nell’oscurità, di cui i primi maestri sono stati i Black Sabbath (che mi chiedo cosa non possono aver influenzato nell’ambito metal), accompagnate da linee di basso potenti ed allucinogene e da una batteria dinamica e precisa.
L’affiatamento tra le artiste si percepisce e la nuova entrata, Ginger, è il tassello che completa il quadro, con la sua ampia estensione e quel modo di cantare eclettico che pesca dal Blues e dall’Alternative, manifestando un sano spirito ribelle anche durante i momenti più sofferti e grevi.
In neanche venti minuti le Slut Machine si addentrano nella parte più oscura e profonda della mente umana, quella che imprigiona l’uomo in una gabbia fatta di estrema cattiveria, descrivendo azioni e reazioni di stati mentali estremi, mettendo in risalto sia luci che ombre, attraverso sei brani senza fronzoli, incisivi e penetranti.
Non c’è spazio per giochi musicali o voli pindarici: le ragazze sono dirette e puntano dritte al sodo sfoderando un sound massiccio e, bisogna dirlo, di gran classe, con pochi elementi chiave ma essenziali.
Il lavoro inizia con ‘I’m done’, dalle strofe cupe e sinistre che portano ad una violenta accelerazione ed al successivo refrain dai cori punkeggianti.
La seguente ‘Bugs in the Glass’ è pesantemente nera e compatta, con un refrain energico e detonante.
La distorsione di ‘Man in the Black Cage’ è soffocante, se ne esce solo grazie all’andamento selvaggio e granitico del pezzo, intensificato da una sofisticata atmosfera orientaleggiante.
‘I’m the Sun’ sa di mistero e di rabbia che esplode con il suo andamento che prende intensità e determinazione malvagia.
‘Blame It On Me’ e la conclusiva ‘Animal’ danno una scarica psichedelica ad alto voltaggio, dure come la roccia e nere come la notte, tremendamente coinvolgenti.
Concludendo, ‘Black Cage’ non è un punto di arrivo, ma bensì di partenza (senza annullare tutto il lavoro fatto prima naturalmente) per una band che dimostra di avere le idee chiare ed una buona compattezza di squadra.
Ora, però, ci vuole un album completo che attesti, in via definitiva, il valore artistico delle Slut Machine.
‘Black Cage’ è stato prodotto dalle Slut Machine in collaborazione con Andrea Tripodi che lo ha anche registrato, mixato e masterizzato presso i Tree Studio di Milano.