Recensione: Black Diamonds
Non l’avrei detto. Quando nel 2017 Tracii Guns e Phil Lewis sotterrarono l’ascia di guerra e riunirono l’unica band che meritasse di portare il nome di L.A. Guns, ero certo che sarebbero durati non più di un paio d’album e, al massimo, altrettanti tour. E, invece, eccomi qui con questo Black Diamonds tra le mani: è il 2023 e i due pistoleri non hanno più separato le proprie sorti, giungendo addirittura al quarto album nel giro di un lustro.
Black Diamonds si dimostra il naturale successore dei precedenti, più recenti dischi della band americana: rock stradaiolo malato senza troppe raffinatezze e riff rotondi di Tracii Guns (questa volta anche produttore del disco) che sorreggono la voce stentorea e sempre traballante di Phil Lewis.
Fin dall’omonimo, bellissimo disco d’esordio (era il 1988), gli L.A. Guns hanno rappresentato il volto sporco di una Los Angeles a quei tempi splendente polo d’attrazione di band hair metal in cerca del proprio quarto d’ora di felicità, in un decennio che pareva poterlo regalare a chiunque. Gli L.A. Guns non rimasero certo a guardare, ma provarono ad approfittare del momentum, proponendo un rock più sporco ma non meno potente commercialmente dei vari capelloni del glam metal che avevano invaso le classifiche della seconda metà degli anni Ottanta.
Black Diamonds ci presenta una band che, in vero, non è cambiata molto da quei tempi. E, dunque, se nel 1989 consumaste Cocked & Loaded, amerete un pezzo come Babylon, che potrebbe saltare fuori da quel disco e ricorda un po’ i grandi Faster Pussycat (nome che ho sempre apprezzato). E che dire del mid-tempo di Shame, se non che sarebbe stata benissimo nella tracklist di Hollywood Vampires (1991)?
E se l’opener You Betray strizza l’occhio al groove dei Led Zeppelin, Wrong About You è un rock strascicatissimo che dimostra tutta l’esperienza di Guns e Lewis nel disegnare melodie catchy e, comunque, non banali. La produzione è minimale (a tratti, troppo, con il rischio di un certo effetto “vuoto”), diretta, priva di orpelli, al punto che pare di avere la band in salotto, con una batteria finalmente vera e suonata con quel dovuto sbraco che dà il giusto dinamismo alle composizioni.
E potrebbe mancare la nipotina di The Ballad of Jayne? Certamente no: ecco, quindi, che questa volta il titolo da citare è Diamonds, una ballad piacevole che non aggiunge molto alla discografia degli L.A. Guns, non tanto per una questione di qualità, che è buona, quanto perché davvero il tempo non pare più quello adatto a questo tipo di pezzi.
Non passerà mai, invece, il tempo per un brano come Shattered Glass: riff dritto, strofa sospesa su un arpeggio, bridge arioso e ritornello selvaggissimo. Insomma, una lezione di street metal in tre minuti di classe sopraffina.
Piuttosto zeppeliniana e quasi grungiana è Gonna Lose, che alterna la morbidezza acustica della strofa con un refrain sporco, non riuscendo appieno ad armonizzare le due parti. Più compatta, seppur abbastanza scontata, è la tirata Got It Wrong, che comunque non delude il fan.
Lowlife fa il verso agli Aerosmith più slabbrati e festaioli: ed è un pezzo che i Guns ‘n’ Roses non sanno scrivere da tanti tanti anni. Crying è canonica e lascia poco all’ascoltatore, mentre Like a Drug è un gran pezzo, con una dinamica spettacolare che chiude al meglio Black Diamonds.
Il disco è bello, a tratti esaltante, soprattutto considerando che a comporlo e suonarlo è una band i cui due membri essenziali non sono certo dei ragazzini. E allora viene da chiedersi se lo street rock/metal di qualità sia il risultato più dell’attitudine, o dell’esperienza, o, più probabilmente, del positivo loro incontro. Fatto sta che gli L.A. Guns di Phil Lewis e Tracii Guns le hanno entrambe, e in gran dosi: insomma, Black Diamonds non risente del passare del tempo e vive fossilizzato nel 1988, ma riesce a non lasciare nell’ascoltatore quel sapore aspro che i revival spesso sedimentano. L’ultima uscita degli L.A. Guns è, infatti, un disco pienamente del 2023, a dimostrazione del fatto che, benché non siano più i tempi del Sunset Strip e lo street sia stato rinominato sleaze, fare rock con convinzione è un istinto senza tempo.