Recensione: Black Garden

Di Massimo Ecchili - 19 Marzo 2011 - 0:00
Black Garden
Band: K2
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2010
Nazione:
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82

Nonostante sia ormai all’ordine del giorno imbattersi in album di pregevole fattura dal punto di vista formale (ottima produzione, preparazione tecnica eccellente, dettagli molto curati) è sempre un sorprendente piacere quando tra le mani ci si ritrova un disco che, inoltre, si distingue anche per la pregevolezza dei contenuti a livello sostanziale.

Nati nel 2001, in maniera pressochè casuale, dalla collaborazione tra il batterista Doug Sanborn e il bassista Ken Jaquess su alcuni pezzi scritti da quest’ultimo, i californiani K2 esordiscono nel 2005 con Book Of The Dead; alla chitarra c’è nientemeno che Allan Holdsworth.
Dopo oltre cinque anni di silenzio arriva sugli scaffali questo Black Garden; non c’è più Allan alla sei corde, sostituito dal ben meno noto Karl Johnson, ma per fortuna è rimasto quel musicista straordinario che risponde al nome di Ryo Okumoto (Spock’s Beard), il cui apporto è come sempre eccellente.

Il tema centrale di Black Garden, attorno al quale ruotano le infinite suggestioni scatenate dalle note che contiene, è l’esplorazione in tempi antichi di alcune regioni dell’Oceania, insieme di acqua e terre lontano non solo geograficamente, ma molto di più per storia e sviluppo. Nella fattispecie si narra del viaggio alla scoperta della Polinesia, insieme di lande incantate immerse nel sud del Pacifico. Esplorazione avvenuta, per inciso, due millenni prima del celebratissimo viaggio di Colombo alla scoperta delle Americhe.

Una manciata di secondi dall’iniziale title track, la voce che fa capolino, un balzo sulla sedia: Peter Gabriel in gioventù ha registrato, con tanto anticipo, le melodie vocali di questo disco? Impressionante, per usare un eufemismo, la somiglianza del timbro di Josh Gleason con quello delll’ex voce dei Genesis. Il tempo di riprendersi dallo shock e, finalmente, è possibile immergersi nelle avvolgenti atmosfere ricreate dai K2, pregne di fascino esotico e fortemente evocative. Nonostante la prova corale sia encomiabile, appare chiaro fin da subito che a far la differenza siano Gleason e Okumoto; quest’ultimo è splendido protagonista sia quando si cimenta in efficaci tappeti di mellotron, sia quando si lancia in scorribande sui tasti del synth, sia quando, infine, fa scorrere le dita sull’hammond. Questo senza nulla togliere a quanto di buono dimostrato dal resto della band: a cominciare da Karl Johnson, specialmente nelle parti solistiche, per terminare con il pregevole lavoro della sezione ritmica, in particolar modo con riferimento alla vitalità del drumming di Sanborn.
L’opener è dominata da un’atmosfera orientale e, pur essendo uno degli episodi meno interessanti di tutto il lavoro dal punto di vista strettamente strumentale, non scade nemmeno nella banalità. Di tutt’altro tenore Passage To Deep, brano decisamente più strutturato ed in linea con lo stile generale del disco. Lunghe divagazioni strumentali non lontane dalle epiche digressioni musicali degli insuperabili Yes, cambi di ritmo e sensazioni contrapposte caratterizzano in generale i brani più lunghi come questo, per l’appunto, o anche Storm At Sunset e la conclusiva Path Of The Warrior. Ma c’è spazio anche per momenti tutti votati ad un neoprogressive che richiama la lezione dei Marillion dell’era Fish, come la compassata Windows Watch, nella quale è inserito un bellissimo assolo di synth; naturalmente ci sono anche richiami più o meno espliciti ai primi Genesis, come in Encounter Or Abscence e in Summer’s Fall, nella quale Gleason e Okumoto, da soli, regalano due minuti di pura emozione.

Black Garden è dunque un gran bel disco, nel quale sono apprezzabili molteplici aspetti: a cominciare dal songwriting per continuare con la perizia esecutiva di primo piano e finendo con la carica espressiva di quanto proposto; un lavoro nel quale le sequenze di note smettono di essere suono tout court per mutarsi in pagine di un immaginifico libro e coinvolgenti scene cinematografiche mai girate.
Il nuovo lavoro dei K2, in definitiva, è l’ennesima testimonianza di come il progressive, nella sua forma decisa dalle band di riferimento del suo periodo di nascita e massimo splendore, sia tornato  protagonista. Mai come oggi molti dischi di rock progressivo contemporaneo sono degni, senza evidenti complessi di inferiorità, di stare sugli scaffali dei negozi accanto ai capolavori senza tempo di band che, diciamolo, hanno indiscutibilmente cambiato la storia dellla musica.

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Tracklist:
01. Black Garden 6:25
02. Passage To The Deep 11:35
03. Widows Watch 6:37
04. Encounter Or Absence 7:11
05. Storm At Sunset 11:05
06. Summer’s Fall 2:12
07. Path Of The Warrior 10:43

Line-up:
Josh Gleason: vocals
Ken Jaquess: bass, keyboards
Karl Johnson: guitar
Ryo Okumoto: piano, moog, hammond, synths
Doug Sanborn: drums, percussion

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