Recensione: Black Mama

Di Fabio Vellata - 17 Dicembre 2013 - 0:01
Black Mama
Band: Black Mama
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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75

Nati nel corso del 2009 nella prolifica area veronese, i Black Mama portano inciso nel proprio DNA lo spirito tipicamente “vintage” della tradizione musicale appartenuta all’epoca a cavallo tra anni sessanta e settanta, omaggio evidente ad alcuni dei maggiori classici della scena rock d’altri tempi, o comunque, dai manifesti riflessi “retrò”.

Progetto creato per volere di Nicolò Carozzi, già chitarrista e singer per i rockers Lavoirlinge, il quartetto non fa grosso mistero della nutrita serie di influenze che ne animano e ispirano il songwriting.
Senza dubbio mirato e credibile è, infatti, citare Mountain, ZZ Top, Gov’t Mule, Muddy Water, Allman Brothers e Cream, nomi alquanto utili nell’opera di riconoscimento delle coordinate stilistiche entro cui la band veneta si muove. In realtà, Carozzi e compari appaiono decisamente infatuati in modo inesorabile da quello che, in senso più ampio e meno vincolante, è il rock asciutto, vissuto e polveroso, corroborato da una profonda radice blues-sudista cui addizionare, di quando in quando, sterzate ai limiti della jam session tipiche di strutture un po’ jazz, qualche spunto funk ed una goccia di psichedelia. Nulla insomma a che vedere, con tratti modernisti o sonorità nemmeno vagamente sintetiche.
Tutto sommato, meglio così: il sound “vero”, caloroso e comunicativo del rock ottiene grande resa nell’emulazione di canoni tradizionali che, purché rispettosi e non irriverenti, riescano nell’arduo tentativo di ripercorrere con fedeltà un sentiero scolpito nella storia.

Condito da una confezione suggestiva – allestita nei modi e nei colori antichi e fascinosi del caro vecchio vinile – il disco di debutto della band veronese assume i contorni di un prodotto gradevole nell’immagine e nei contenuti, per quanto evidentemente di nicchia. Curato nel particolare di una produzione secca e diretta, anch’essa orientata al rispetto di un modo d’opera “vecchio stile”, “Black Mama” riserva ai fruitori una serie di brani dalle cadenze sempre ai confini del blues, arricchito da slide guitars, ritmiche ciondolanti e dalla voce “fumosa” di Carozzi, forse non proprio un fuoriclasse in termini d’estensione, ma del tutto adeguato in quanto ad espressività ed attitudine verso il genere proposto. Una sorta di Billy Gibbons nostrano.
“Blues Is Blues”, “Snake Out Blues”, “’Round Midnight” sono episodi significativi nel porre in piena evidenza tutti i caratteri descrittivi della proposta, in cui appaiono evidenti, oltre ad una buona verve southern-funky-blues, anche un minimo di prolissità di fondo, dazio inevitabile cui sottostare qualora le scelte vadano nella direzione di una formula pensata per lasciar spazio ai singoli musicisti che, in tal modo, hanno piena libertà di lanciarsi in divagazioni strumentali che tanto sanno di jam alla “woodstock”.

Pezzi migliori, senza dubbio il blues “maledetto” e smorzatissimo di “The Slow One”, brano che deve qualsiasi cosa – dai suoni, alla voce, ai singoli accordi – alla grandeur dei maestri ZZ Top, inseguito a ruota dall’iniziale e più dinamica “41-61” (tracce del sommo Jimi Hendrix) e dalla conclusiva “Keepin’ My Style”, lungo trip sonoro diviso in due parti, in bilico tra southern e psichedelia, che potrebbe essere paragonato ad un viaggio nel deserto del Texas filtrato dalle percezioni sensoriali derivanti dalla mescalina.
Interessante infine il remake di “Tell Mama” celebre canzone di Etta James – grandissima interprete blues, gospel e R&B, scomparsa agli albori del 2012 – qui traslata in “Tell Papa”, per una rivisitazione dai toni maggiormente elettrici ed ancora una volta funky-southern.

Inutile menarla per le lunghe: ci sanno fare i Black Mama ed il loro desiderio di “riproporre il suono che ha reso grande il rock, contaminandolo con tutte le sfumature che questo ha saputo esprimere nel corso delle ultime decadi”, appare, insomma, soddisfatto in larga parte.

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