Recensione: Black Mass
I Death SS sono una parte molto importante della storia del metal italiano, sono stati tra i primi il cui nome sia girato realmente fuori dal nostro paese. Il gruppo, nato addirittura nel 1977 per mano di Steve Sylvester e di Paul Chain, e sempre stato circondato da un’aurea di mistero e questo ha certamente contribuito a rendere così affascinante tutto quello che li riguardava.
Nel 1989 esce questo “Black Mass”, forse il disco più oscuro del gruppo, certamente il disco che più di tutti incarna lo spirito oscuro dei Death SS.
L’album si apre con un apparentemente innocuo arpeggio di chitarra, ma quando “Kings of Evil” parte si capisce subito di non trovarsi davanti ad un gruppo normale. La canzone e un ottimo esempio di metal anni ’80 ma, grazie soprattutto alla particolare voce di Steve, si percepisce un alone di malvagità che diverrà sempre più tangibile con il passare delle canzoni.
“Horrible Eyes” si apre con il suono malato di un carillon, per poi sfociare in un mid tempo malsano guidato da un riff maligno che si stampa indelebilmente nella mente di chi lo ascolta, il gruppo ai tempi non aveva dei musicisti dalla tecnica incredibile, ma il tuto è suonato in maniera ottima creando un’atmosfera cupa e oscura. Il break rallentato a metà del brano contribuisce ancora di più a trasportare l’ascoltatore in un girone infernale, con un oscura voce che sembra invitare l’ascoltatore a lasciarsi guidare da qualche entità maligna.
Con “Cursed Mama” i ritmi, dopo l’inizio affidato ad un organo, si alzano senza però mai sminuire la sensazione di oscurità che aleggia in tutto l’album. Il grande pregio delle canzoni di questo disco è sicuramente in evidenza in questa mitica song, cioè quello di riuscire a coniugare delle atmosfere tenebrose a ritmi sostenuti e a delle melodie sempre, o quasi, orecchiabili e facilmente ricordabili.
“Buried Alive” viene introdotta da una chitarra arpeggiate che di certo non lascia presagire quello che sarà in realtà la canzone, un mid tempo malato, con Steve che guida l’ascoltatore nella mente di un uomo che sta per essere bruciato vivo, che lascia il segno.
Con “Welcome to my Hell” i Death SS riescono a rendere l’atmosfera ancora più maligna, grazie ad un’alternanza di parti molto melodiche, parti dalla vocals inquietanti e voci femminili che sembrano provenire da un mondo che noi non conosciamo.
I suoni di una catastrofe introducono “Devil’s Rage”, forse la canzone più tirata del disco, ma anche quella più debole del lotto essendo l’unica canzone che non riesce a dare quella sensazione di oscurità presente nel resto dell’album. Non male ma niente di che.
“In the Darkness” è l’ennesimo capolavoro Heavy-Doom presente su questo disco, e per Doom non intendo quello iperrallentato di gruppi tipo i Saint Vitus o i Trouble, qui tutto è giocato sulle emozioni che le canzoni riescono a produrre. Il brano è una specie di semi ballad guidata come sempre dalla voce di Steve, che da sola riuscirebbe a rendere tenebrosa anche la canzone dei puffi!
Ma il pezzo forte i Death SS lo lasciano alla fine, e infatti con “Black Mass” che si capisce in pieno quello che è lo spirito del gruppo, una canzone strana, con parti assolutamente sconcertanti per quel che riguarda l’uso distorto e malsano della melodia, che trasporta l’ignaro ascoltatore nel bel mezzo di una messa nera, lasciandogli nel cervello la sensazione di aver partecipato realmente a qualche oscuro rito satanico e inculcando nel cervello una sensazione di disagio e angoscia. Sono convito che se al mondo c’è una canzone che può rendere l’idea del concetto stesso del “male” e sicuramente questa.
“Black Mass” è un disco praticamente obbligato per chi vuole capire cosa sia la musica veramente malvagia, ma anche per chi vuole scoprire le radici del metal italiano, senza i Death SS probabilmente adesso la scena nostrana non sarebbe quella che è.
Vi ricordo che è anche uscita una ristampa in cd che contiene addirittura 5 bonus track, non lasciatevelo sfuggire!