Recensione: Black Mirror
Dopo appena un anno dal precedente EP Wisdom – Vibration – Repent, ecco tornare in questo 2023 ormai alle battute finali i leggendari Mortuary Drape con il sesto full-length dal titolo Black Mirror, uscito per la storica etichetta discografica inglese Peaceville Records lo scorso 3 novembre.
La band alessandrina, guidata da Wildness Perversion (all’anagrafe Walter Maini) rappresenta da oltre trent’anni uno dei nomi storici che vengono sempre citati quando si parla delle origini del black metal italiano. Un gruppo, come spesso accade purtroppo, apprezzato molto di più all’estero che da noi; sono tante però le band che devono molto al Drappo in termini di ispirazione e riconoscenza per quello che sono stati in grado di fare e di rendere possibile col solo fatto di esistere.
Il loro seminale lavoro del 1994 All the Witches Dance ha infatti creato le basi e segnato il percorso di quello che poi sarebbe diventato il black metal italiano e non solo: una pietra miliare che tutti noi dovremmo avere in casa come gli altri lavori del Drappo, imprescindibili per chi ascolta e ama la musica estrema.
Eccoli ora nel 2023 tornare prepotentemente a far sentire la propria voce catacombale con Black Mirror: undici pezzi per un totale di circa 50 minuti intrisi di cattiveria esoterica e di tutto quello che si può e ci si deve aspettare dai Mortuary, in particolar modo per chi può vantare di conoscerli e amarli dal primo demo, Necromancy, del 1987.
I numerosi cambi di lineup hanno in qualche modo influito e influenzato quello che oggi sono i Mortuary Drape: nel tempo si sono allontanati dal black metal più occulto ed intransigente, rivedendolo sotto diversa forma e inserendo nelle loro composizioni sonorità più vicine ad altri generi come il death, il doom e persino sferzate velocissime tipiche dello speed thrash, in un miscuglio di heavy metal molto ben riuscito ma mantenendo sempre una coerenza e congruenza stilistica di fondo.
I lugubri sussurri malevoli di Wildness Perversion danno inizio ai 6 minuti di Restless Death, brano che probabilmente andrebbe scelto come biglietto da visita se chiedessero chi sono i Mortuary oggi: riff accelerati micidiali delle chitarre, sezione ritmica di batteria, basso dalla rara ferocia esecutiva e uno screaming aggressivo e spesso sinistro.
Il trittico di riff trascinanti e di pregevole fattura presenti nei tre brani successivi The Secret Lost, Ritual Unction e Drowned in silence, con quel sottofondo di melodia che entra subito in testa pur nella sua malvagità oscura, sicuramente scateneranno una bolgia infernale in sede live, dove tra l’altro ritroveremo i nostri il 18 novembre a Firenze ed il 30 dicembre allo Slaughter Club di Paderno Dugnano.
Una produzione davvero eccellente, che non lascia nulla al caso nella cura degli arrangiamenti dei singoli strumenti, potente e aggressiva come è giusto che sia per questo genere ma allo stesso tempo pulita, dove emergono chiaramente anche gli assoli delle due chitarre e del basso, particolarmente risaltante in quest’album.
Lavoro complesso e articolato anche per quanto riguarda il songwriting, basato sul fenomeno del deja vu, attraverso il quale Wildness Perversion ci porta ad attraversare mondi paralleli, fatti di vite passate o chi lo sa, realtà future che devono ancora essere vissute.
Rattle Breath è il brano che forse meglio rappresenta quello che troviamo in quest’album ed è comprensibile averlo scelto come primo singolo: un basso dominante, un gusto per la melodia che rende il tutto orecchiabile e persino cantabile nei ritornelli, un Wildness Perversion dalla straordinaria capacità interpretativa che riesce a cimentarsi in diversi registri vocali, dal growl allo screaming ad un timbro aggressivo quasi pulito, rendendo sempre le parole intellegibili.
Nocturnal Coven, Into The Oblivion e The Unburied sono brani intricatamente complessi nei numerosi cambi di tempo, parti cadenzate dove a farla da padrona sono le chitarre e altre dove invece il basso è messo prepotentemente in primo piano, il tutto egregiamente supportato da una batteria impegnata costantemente in blast beats tanto furiosi e micidiali quanto precisi e impattanti.
Mistress Of Sorcerer e Fading Flowers Spell hanno in comune un inizio lento, con arrangiamenti che ricordano i primi album dei Mortuary, l’intoccabile Tolling 13 Knell su tutti, un black metal primordiale che sfocia in riff violenti di chitarre e uno screaming lancinante di Wildness, supportati come sempre da una sezione ritmica tanto forsennata e martellante quanto impeccabile.
Black Mirror si chiude con la title track, brano quasi completamente acustico, molto suggestivo nei toni tragicamente funerei, che ci traghetta, come il migliore dei Caronte, alla conclusione di quest’ascolto infernale, fra occulto, reincarnazione e visioni tetre e spettrali.
Quest’opera che abbiamo il piacere di avere tra le mani, con una copertina che parla da sé e ben rappresenta il titolo dell’album oltre che i Mortuary Drape in senso stretto, è certamente un lavoro ben riuscito, che finalmente allontana tutte le varie ed eventuali perplessità nei confronti del combo alessandrino, e speriamo davvero possa riportare in auge una band leggendaria di casa nostra di cui dovremmo andar fieri e orgogliosi, smettendo una volta per tutte di guardare oltreconfine alla ricerca della qualità nel metal.
Il Drappo mortuario è tornato a professare il suo verbo nero e ne ha ben donde di essere riposto nella catacomba, e gli amanti del metal più estremo ne saranno ben contenti.
Una volta arrivati in fondo a questo deja vu, non si vede l’ora di ricominciare il viaggio da capo, provare per credere.
L’album è stato registrato, mixato e masterizzato da Federico Pennazzato presso i TMH Studios di Alessandria, con la produzione di Pennazzato, DC e Wildness Perversion, mentre l’artwork è stato realizzato da Misanthropic Art.
L’album è stato pubblicato su vinile grigio e CD, oltre ad essere disponibile in formato digitale.
Attraversate anche voi lo specchio nero insieme al Drappo che vi tiene per mano, vi aspettiamo dall’altra parte.