Recensione: Black Pyres
Il thrash metal, nel momento in cui ha trovato il connubio immortale con l’hardcore, è stato all’origine di praticamente ogni genere estremo che da inizio anni Ottanta ad oggi ha preso piede nel mondo. Ha da sempre avuto una capacità incredibile nel riuscire a mescolarsi ad altri generi, sia estremi, sia più melodici. Ma quando il thrash si sposa infernalmente con il black, non di rado, i risultati sono devastanti. Ne abbiamo prove concrete ascoltando, ad esempio, i lavori di gruppi quali Gravehill, Aura Noir, Necromessiah, Witchburner piuttosto che dei leggendari Hellhammer o dei giapponesi Barbatos.
Pure gli svedesi Vornth si alleano alla setta dedita a questa corrente artistica estrema. Diciamo fin da subito che non c’è ancora quella qualità in grado di proiettarli nell’ade infuocata dei maestri prima citati, ma con “Black Pyres” il quartetto originario di Uddevalla sa farsi rispettare. I brani scorrono caustici e feroci per tutti i trentanove minuti del disco che suona davvero bene, compatto e veemente.
Thrash metal e black primordiale si alternano in una lotta dai risultati nefasti, in cui emerge tutta l’attitudine oscura di questa realtà scandinava: riffing tirato, chitarre corrosive, negatività all’ennesima potenza. Non mancano però alcuni momenti atmosferici che sono in grado di impreziosire il songwriting di un aurea oscura e lugubre. Ruolo fondamentale in questo aspetto lo gioca il frontman, nonché chitarrista, Erik Hartmann. Il cantante è profondo interprete dello stile dei Vornth e ne caratterizza di fatto la personalità artistica grazie ad una espressività quasi ‘teatrale’. Poco altro degno di nota se non una copertina che si fa apprezzare per i tratti quasi pittoreschi.
Disco consigliato ai soli super esperti ed integralisti del genere. Per chi invece si è avvicinato da poco al genere, suggeriamo di ripiegare sulle leggende del passato più o meno recente.
Nicola Furlan