Recensione: Black royal spiritism – I.O sino da igreja
Il 10 agosto 1993 è una data ben nota ad ogni fan del black metal: Øystein Aarseth fu assassinato Varg Vikernes e, a seguito di questo sanguinoso evento, Hellhammer annuncia lo scioglimento della band. Successivamente, vedrà la luce quel capolavoro assoluto che è De Mysteriis Dom. Sathanas ed Hellhammer deciderà di formare nuovamente i Mayhem: vengono richiamati Maniac e Necrobutcher mentre alla chitarra, fa la sua comparsa un giovane 19enne, Rune Eriksen, meglio conosciuto come Blasphemer, che ha un ingrato compito, ovvero quello di fare i conti con la pesante eredità di Euronymous.
Ed è proprio l’esperienza con la band norvegese, l’embrione di questo esordio oscuro. Durante la pandemia, Blasphemer ha maturato l’idea di elaborare un progetto solista, partendo da un nastro digitalizzato ricevuto da un suo amico, che riguardava delle sue registrazione del periodo ante Grand Declaration of War: in quel momento, è nata l’idea di fare qualcosa di simile al suo esordio e quindi di chiudere il cerchio con i Mayhem.
Questa similitudine la possiamo trovare anche nell’artwork, dove appare una costruzione che richiama quella contenuta in De Mysteriis Dom. Sathanas, i cui colori predominanti sono il rosso e il nero – tonalità tradizionalmente “diaboliche” – con il nome della band in una versione che ricorda un sigillo satanico: una disegno che strizza l’occhio al passato e che guarda all’oscurità delle tematiche trattate nel presente. Già, perché da un punto di vista di contenuti, Black royal spiritism – I.O sino da igreja, attinge a piene mai all’universo più oscuro e spesso accostato alla musica, quello della magia, nella fattispecie, quella dell’Umbanda, un sistema religioso di animista origini brasiliane che si ispira allo spiritismo di Kardec, ovvero della crescita dello spirituale attraverso l’esperienza.
L’album è la trasposizione fedele di quanto anticipato da Blasphemer nell’intervista rilasciata qui (clicca per leggere) su Truemetal.it: i continui richiami alla sua carriera di chitarrista nei Mayhem, che ne costituiscono la natura, condendo il suo lavoro con sonorità trash e talvolta ambient che, amalgamate alla perfezione, danno vita ad un viaggio introspettivo e filosofico, di crescita spirituale, che si discosta parecchio da quella più comune e diffusa che vede nell’uomo un essere condannato, già prima della nascita, dal peccato originale e che viene dipinto come per sua natura imperfetto e peccatore. Ed è l’evoluzione, il leitmotiv di questo esordio che suona black anni ’90, con le contaminazioni che rendono questo disco piacevole e diverso da un semplice copia e incolla che oggi risulterebbe anacronistico: Blasphemer trova la sua via, quella della mano sinistra, attraverso testi e musiche ed il risultato è un’opera di alto livello che si ritaglia uno spazio tutto suo, in un genere musicale che ultimamente ha proposto tante e diverse cose interessanti.
Blood.Sacrifice.Enthronement ha un’intro che palesa l’ecletticità musicale di Blasphemer, che alterna un orecchiabile riff a veri e propri assalti brutali, interrotti da una sezione centrale, che rappresenta il cuore della composizione, a dir poco mistica, con un fraseggio di chitarra ripetuto e suonato su percussioni che hanno un sound molto “ritualistico”. The Triumph (of night & fire) ha un ottimo riff introduttivo che suona decisamente thrash, con brusche accelerate che lo riportano al suo passato nei Mayhem. The Black House è il brano più oscuro e violento, in cui, per la prima volta, appare un cantato clean che trasuda misticismo. E siamo arrivati alla title track, che apre con una intro distorta, molto lenta. Black royal spiritism è…nera: un animo soprannaturale, sinistro ed inquietante, un grandissimo pezzo che palesa le capacità trasversali di Blasphemer, in cui troviamo elementi thrash con un cuore black – la parte centrale è di una violenza inaudita, degna del black metal più estremo. Con Evig dissonance ci si immerge nel black metal più totale, un grande pestaggio che fa fumare le orecchie dell’ascoltatore – un brano dal sicuro successo nelle performance live – mentre Fall of Seraphs è una personale rielaborazione del vecchio classico dei Mayhem contenuto in Wolf’s lair abyss, che segue la stessa falsariga del suo predecessore con un po’ più di armonia e grande teatralità. Il growl di Blasphemer, con eco, è davvero di livello e la canzone ha delle brusche accelerate. L’intro di Ao Rio è medianica: Eriksen – tra fraseggio, voce e tastiere – riesce a creare un’atmosfera soprannaturale, di grande impatto e che trascina nella dimensione che l’artista vuole dare. Chiude O sino da Igreja, un brano che si culla nella sua struttura black, dalle forti e graffianti schitarrate e dal drumming incalzante: una struttura solida e granitica arricchita da preziose sovraincisioni che conferiscono al brano un tocco in più.
Black royal spiritism è un viaggio attraverso la spiritualità e la storia di Blasphemer, un disco, per dirla alla Pierangelo Bertoli, “con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”: nato dalle ceneri dei fasti che furono e ripercorso attraverso le sonorità degli esordi, qui arricchite da influenze thrash e ambient che danno una dimensione artistica davvero notevole. Già, perché per comprenderne il reale livello, bisogna valutare il disco nella sua interezza e in tutti i suoi aspetti: la meccanica (o filosofia) che ne muove gli ingranaggi, l’artwork, il messaggio, la costruzione delle canzoni e, ovviamente, la musica. Tutto è perfettamente bilanciato, ogni singolo pezzo del puzzle si incastra, e dà un’immagine, su pentagramma, di quella che è l’idea di questo straordinario artista norvegese.
Bravo.