Recensione: Black Seagull
Noemi Terrasi è una giovanissima chitarrista e compositrice palermitana, da più di un decennio alle prese con la 6-corde (strumento metal per eccellenza) oggi endorser per SiC Instruments. Influenzata da artisti come Haken, Plini, Steve Vai, David Micic, Nick Johnston, Guthrie Govan, Joe Satriani, John Petrucci, ma anche dalle colonne sonore di Hans Zimmer e dei Two steps from hell, la Terrasi decide dopo alcune esperienze con gruppi emergenti di dedicarsi al suo primo progetto solista, concretizzatosi a fine 2018 con l’uscita dell’EP Black Seagull. Il dischetto, curato nei dettagli, mostra l’evidente passione profuso nella sua stesura: ogni aspetto musicale, dalla composizione dei brani, alla produzione, alla registrazione fa capo alla chitarrista siciliana, che ha voluto mettere in musica un concept autoriflessivo intessuto di emozioni pure, oltre che di denuncia sociale in senso lato. Ascoltare le quattro tacce proposte significa scoprire il percorso di morte e rinascita del gabbiano presente nel titolo del platter, correlativo oggettivo della condizione degradata e purtroppo troppo disullusa della condizione umana nel nuovo millennio.
L’opener trasmette da subito un senso di nostalgia ed eleganza sonora. La produzione è pulitissima, i sintetizzatori ariosi, tutto sa di salsedine e calma dimessa. Il pezzo cresce alla fine del secondo minuto e la Terrasi riesce a mostrare la propria tecnica senza eccedere in autoreferenzialità (il maggior pregio per un album strumentale). Dopo un break con suoni di onde marine e garriti in lontananza, la title-track si conclude in crescendo con un assolo maestoso e alcune asprezze che introducono il brano successivo. “Steel Eyes” vuole mettere in musica la meccanizzazione efficientista piaga della nostra società, che non vede più protagonisti uomini con desideri e bisogno di libertà, bensì esseri disumanizzati e schiavi della tecnica. Con questa chiave di lettura si spiega la spigolosità della 6-corde, lo slap di basso, nonché l’incedere marziale della song, la più metal-oriented del platter. Il finale, tuttavia, è dei più ovattati, scelta oculata per proseguire con “Ice Wind”, la mini-suite in scaletta, composta di 4 movimenti (Preludio, A small measure of hope, Ascension, Watching the sunrise) per otto minuti di prog. strumentale da intenditori. Il pezzo delinea il percorso di superamento di un evento negativo che viene a sconvolgere la vita di chiunque condivida la nostra condizione di semplici mortali. Il vento gelato dà il meglio di sé nei momenti meno tirati e più riflessivi, con tanto d’inserti di violoncello e chitarre semiacustiche. Quello che potrebbe sembrare mancanza di mordente a ben vedere si rivela la marcia in più della Terrasi, che sa incantare senza usare l’acceleratore senza motivo. L’EP si chiude con “The Way Home”, il nostos è giunto al suo termine e il gabbiano in articulo mortis aspetta l’arrivo di un nuovo giorno, indice di speranza e consolazione catartica. E da ultimo possiamo dirlo, il brano nel finale è trascinante e potente al punto giusto.
Black Seagull è un dischetto da scoprire e consigliare a tutti gli appassionati di buona musica. Nella mezzora del suo minutaggio l’ascoltatore passa attraverso un percorso emotivo ricco e variegato e infine può dirsi ampiamente soddisfatto. Speriamo che Noemi Terrasi sappia crescere e maturare arrivando alla consacrazione del full-length, ha tutte le carte in regola per imporsi nel panorama che conta, fortuna permettendo.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)