Recensione: Black Snake
I Venus Mountains (qui intervista) sono un gruppo che nasce nella zona della Franciacorta in provincia di Brescia nel 2009. Al loro attivo hanno un Ep, The Birth, rilasciato nello stesso anno e due album ufficiali: Into the Jail Without the Cage del 2013 e il recente, si fa per dire, Black Snake, targato 2018 nonché oggetto della recensione.
La formazione è a quattro elementi e schiera Stefano “Frax” Pezzotti (Chitarra, Voce), Marco “Sexx Doxx” Dossi (Basso), “Morris” Archetti (Batteria) e Michele “Mick” Lodrini (Chitarra).
Come da tradizione ed educazione tipica della gente di quella provincia, il poker bresciano da sempre fa parlare i fatti, più che il bla bla bla dei proclami fine a se stessi: negli anni ha suonato in Giappone, Inghilterra, Svizzera, Olanda, Russia, Spagna, Francia, Usa (spicca una data al Whisky a Go Go di Los Angeles) e, ovviamente, anche in Italia, condividendo il palco con, fra gli altri, Skid Row, Diamond Head, Vinni e Appice, Pretty Boy Floyd, Adam Bomb, Crazy Lixx. Un curriculum di tutto rispetto, quindi, il loro, che hanno saputo capitalizzare in musica. Black Snake si compone di undici pezzi per quaranta minuti abbondanti di ascolto. Il cd, licenziato dalla Volcano Records & Promotion si accompagna a un libretto di otto pagine con tutti i testi e foto della band e spicca per la qualità della produzione. A beneficiarne, ovviamente, sono i vari pezzi, che infatti riescono ad emanare un gradiente di potenza alle casse in grado di provocare sublimi sensazioni, al di là della qualità degli stessi, comunque di livello, beninteso.
La miscela proposta dai Venus Mountains è un heavy hard rock dalla connotazione robusta, una sorta di mix bastardo e superamplificato fra Kiss, Motley Crue, Michael Monroe, Guns N’ Roses e Motorhead.
Si parte dall’heavy roll urlato di “Rock City” sino ad arrivare alla cover di “Venus”, celebre brano inciso dagli degli olandesi Shocking Blue nel 1969, poi ripreso con successo in modalità “disco” dalle Bananarama nel 1986. In mezzo tanto hard feroce e possente: la title track, “Down to the Rainbow”, “Hammer”, pezzi che “arrivano” in pieno petto, senza se e senza ma, con il loro carico di polvere intrisa di benzina.
Meritano però un inciso le due ballad presenti: “You Make me Feel” è pezzo sinuoso, ben concepito, che gode del plus fornito dalla scintillante interpretazione canora di Lisy Stefanoni in veste di special guest femminile, ma l’highlight assoluto di Black Snake rimane senza ombra di dubbio “Wake Up Call”, una canzone adulta che dà il meglio di sé nel crescendo, il tipico lentone di classe che se fosse finito fra le sgrinfie di Aerosmith, Whitesnake o del Bon Jovi dei bei tempi sarebbe rimasto in heavy rotation un po’ ovunque per un bel pezzo.
Black Snake è album fresco, che segna il salto di qualità in casa Venus Mountains marcando la differenza nei confronti dei due lavori precedenti, accattivanti ma ancora acerbi. D’altronde servirà pure a qualcosa farsi il mazzo suonando senza la puzza sotto il naso e la stessa intensità tanto a Corteno Golgi quanto a Tokyo. O no?
Stefano “Steven Rich” Ricetti