Recensione: Black Society
Gli Arthemis non hanno bisogno di presentazione, sono meritatamente una delle band di punta del panorama metal italiano, tralasciamo pertanto le tediose e superflue note biografiche e concentriamoci su quanto successo nel quartier generale di Martongelli & soci nell’ultimo anno. Innanzitutto la separazione amichevole dal chitarrista Matteo Ballottari, avvenuta per motivi personali come spiegato da Andrea Martongelli in sede di intervista, e poi la nuova collaborazione con la Scarlet Records, etichetta che ha puntato molto sulla forza dirompente del gruppo veronese.
Mettiamo subito le cose in chiaro: con “Black Society” gli Arthemis proseguono lungo quel percorso di maturazione personale all’insegna della più esplosiva commistione tra hard rock e thrash metal, diventata, nel corso degli anni, marchio di fabbrica della band di Martongelli & soci. Maturazione che emerge anche dai testi, mai banali e semplicistici, che qui si ritagliano un ruolo fondamentale per assaporare ogni minima sfumatura dell’intero lavoro. Siamo di fronte ad un concept ben articolato e strutturato, all’interno del quale le tematiche non sono certamente allegre, ma che nascondono sempre un messaggio positivo, sintetizzabile nella lotta contro gli egoismi e le prevaricazioni di questi tempi per riaffermare il diritto di ciascuno alla propria libertà.
In questo nuovo capitolo della loro discografia (siamo al quinto album ufficiale) i nostri raggiungono un bilanciamento ottimale tra la potenza e l’aggressività propria del thrash metal e la componente melodica e coinvolgente dei riff di chitarra, tipiche dell’hard rock. A ben vedere quest’ultima anima prende il sopravvento spostando la direzione musicale complessiva dell’album verso sonorità meno grezze e più riflessive e meditate. Questo non vuol dire che siamo in presenza di un cambio di stile, tutt’altro, il songwriting, sempre riconoscibile, ha raggiunto una nuova dimensione nella quale tutte le influenze musicali trovano diritto di cittadinanza e rendono il risultato finale più ricco di sfumature, più multiforme, meno immediato, forse, ma sempre coinvolgente ed accattivante.
Le doti tecniche ed esecutive dei quattro veronesi sono di ottimo livello, merito della grande passione che essi riversano nella musica che suonano ma anche delle numerose attività live che li hanno visti protagonisti nel corso degli anni. Paolo Perazzani è un vero fuoriclasse della batteria, la precisione e la potenza con cui picchia sulle pelli sono invidiabili; ad esse abbina un approccio mentale aperto ed un’eterogeneità di soluzioni che ne fanno un batterista di livello assoluto. Il bassista Matteo Galbier offre una prestazione impeccabile sotto ogni aspetto: ascoltate, per esempio, la potenza sprigionata dalle sue 4 corde in “Electri-Fire”. o in “Escape”. Andrea Martongelli, vero leader della band, associa al talento da chitarrista un’eccellente capacità di songwriter che ne fanno un compositore coi fiocchi. Infine Alessio Garavello, sul quale ogni altro commento sarebbe sprecato: un vero asso dietro al microfono, un cantante che ha raggiunto un’espressività impressionante, capace di modulare le proprie corde vocali, senza alcuna difficoltà, per assecondare il mood cangiante delle canzoni. Il tutto emerge in ogni singolo passaggio di “Black Society”, prodotto in modo esemplare dalla stessa band con l’ausilio del validissimo Nick Savio.
L’opener “Black Society” è una mazzata di heavy metal duro e violento, incentrato su riff di chitarra particolarmente incisivi e trascinanti (notate il break simil doom/thash a metà traccia) e forte di un chorus che ha il merito di stamparsi in testa e di farsi canticchiare senza soluzione di continuità. La successiva “Angels in Black” è una semi ballad vagamente ipnotica che smorza opportunamente i toni e che mette in mostra la versatilità e la potenza vocale di Alessio. Si ritorna su ritmi più dinamici e serrati con “Elecrti-Fire”, una delle tracce più dirette a granitiche dell’album nella quale emerge la sezione ritmica, varia e potente. “Medal of Honour” è un mid tempo che presenta un refrain dalla forte carica suggestiva e malinconica, arricchito di una serie di assoli di ottima fattura il tutto impreziosito dalla splendida prova di Alessio al microfono. “Escape” riporta le coordinate su ritmi più veloci mantenendo un occhio di riguardo alla componente melodica, soprattutto nel ritornello particolarmente ammaliante. “Black Society” è una traccia piuttosto complessa e quindi non immediatamente accessibile, si caratterizza per la sua struttura articolata e sfuggente, sicuramente da ascoltare e riascoltare per apprezzarne le diverse sfaccettature. “Mechanical Plague” è una splendida canzone che attinge alla tradizione hard rock, evidente soprattutto nella costruzione del coro che mi ha ricordato, anche per la cattiveria di Alessio al microfono, il recente lavoro degli italiani Tarchon Fist. “Let it Roll” è la canzone più power oriented dell’intero lavoro, incentrata su un chorus irresistibile maledettamente melodico e catchy. La visionaria “Zombie Eater” mostra nuovamente le influenze della band, ampiamente radicate in territori hard rock, egregiamente assemblate nel trademark targato Arthemis. La conclusiva “Mr. Evil” sembra ancorata all’era Helloween post Hansen, a ben vedere per l’apertura melodica del bridge ma anche per la prova di Alessio che ricorda il vecchio e caro Micheal Kiske.
“Black Society” è un disco che si discosta leggermente dal power/thrash degli album passati, ci mostra una band in progressiva maturazione capace di modulare il proprio songwriting pur non rinnegando le proprie radici, sintomo di competenza e sicurezza nei propri mezzi. Ancora una volta, bravi Arthemis.
Tracklist:
Fright Train
Angels in Black
Elecrti-Fire
Medal of Honour
Escape
Black Society
Mechanical Plague
Let it Roll
Zombie Eater
Mr. Evil