Recensione: Black Train Starting
Per chi vi scrive esistono sostanzialmente tre categorie di demo: quelli che propongono con sicurezza stilemi già sentiti senza apportarvi granché di nuovo, quelli che provano ad esplorare nuovi territori (con il rischio che magari talvolta il terreno frani sotto i piedi o che il soffitto crolli sulla testa) e quelli, per forza di cose più rari, che sono già opere d’arte fatte e finite. “Black Train Starting”, dei toscani Graveyhard, appartiene certamente alla seconda categoria, ma andiamo con ordine.
Come tanti altri ragazzi, anche i Graveyhard hanno iniziato la loro avventura come cover band, precisamente nell’inverno del 2011, proponendo canzoni di gente come Black Sabbath, Pentagram e Black Label Society inframmezzate da pezzi propri. Dopo l’abbandono di uno dei due chitarristi la formazione si stabilizza attorno alle figure di Ivan Magnani alla chitarra e alla voce, Carlo Bellagotti al basso e Gabriele Americani alla batteria; inoltre il 2012 vede la registrazione di un demo di cinque pezzi dal titolo “Black Train Starting”. Vista l’iconografia e le radici, sembrerebbe lecito aspettarsi uno stoner/doom elefantiaco e nero come la pece; in realtà, una volta infilato il disco nel player le sensazioni sono piuttosto differenti.
C’è sicuramente dello stoner, nei riff e nelle chitarre “tarchiate”, e non mancano un paio di hookline di stretta discendenza hard rock anni ’70, ma gli ingredienti preponderanti nella loro ricetta sono il (post)-grunge e l’alternative. Le trame sono minimali, la voce è volutamente grigia (eppure tutt’altro che piatta, nonostante quella di Ivan non possa essere certo definita un’ugola d’oro) e i virtuosismi strumentali vengono dispensati con il contagocce: un’attitudine tutta sudore e rabbia martellante mutuata forse più dal punk/garage (e riproposta, successivamente, proprio dal grunge) che non dall’hard rock più “puro”, ma non per questo priva di motivi di interesse.
L’opener, “Black Train” si rifà in maniera piuttosto evidente agli stilemi tipici del post grunge, tanto che in certi momenti sembra di sentire i 12 Stones, i Nirvana medesimi o dei 3 Doors Down più ruvidi. La voce ondeggia trascinandosi dietro cantilene bigie e sbilenche mentre la sezione strumentale mette in evidenza un ottimo lavoro di basso e dimostra di non disdegnare più d’un richiamo a quel blues “di confine”, lento e psichedelico, che tanto piaceva ai Kyuss. “Never Walk Alone” è forse la migliore in scaletta. Il guitar work è ossessivo, i suoni grassi e distorti e l’utilizzo continuativo dei piatti rimanda di nuovo ai Kyuss, tuttavia il vero valore aggiunto di questo brano risiede proprio nella voce di Magnani, in grado di trovare una hookline davvero efficace pur rimanendo all’interno del proprio dimesso spettro espressivo e con l’ombra dei Nirvana sempre presente in lontananza.
Le successive tre tracce, sempre di livello medio/alto, sono altri tre buoni pezzi di alternative/stoner rock spartano e grintoso, guarniti da linee vocali dolenti e, di nuovo, ricchi di motivi di interesse. “The Land Of The Dead” (Romero docet) ha spunti di pregio ma perde qualche punto per via di una melodia troppo lagnosa che non convince al 100%; decisamente migliore, da questo punto di vista, “Followers Of Death”, rockeggiante, scorrevole e dall’impronta fortemente Black Sabbath-iana. Chiude “Signs Of War” di nuovo a metà tra stoner, doom e grunge rock: ritmata e in odore di Alice In Chains ha un bel refrain, eppure, laddove la canzone sembra in procinto di spiccare il volo, il finale un po’ “tronco” dà una certa sensazione di incompiutezza.
Si tratta, come detto, di un demo “homemade”, con tutti i pregi (genuinità) e i difetti (un po’ di approssimazione, talvolta) del caso, tuttavia la buona notizia è che i primi superano i secondi in quantità, offrendoci cinque tracce tanto sporche, grezze e annerite dal fumo nero del treno in copertina, quanto colme di buone idee che potrebbero trovare, in futuro, ottimi sviluppi grazie ad un adeguato lavoro di riordino ed affinamento. Il consiglio che ci sentiamo di dare ai Graveyhard è, dunque, di proseguire su questa strada, sviluppando e completando le buone idee contenute (e, talvolta, solo accennate) all’ interno di questo dischetto ma senza, in ogni caso, perdere la bella e genuina grezzaggine di suono ed attitudine che oggi li contraddistingue.
Stefano Burini
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Line Up
Ivan Magnani – chitarra e voce
Carlo Bellagotti – basso
Gabriele Americani – batteria
Tracklist
01. Black Train
02. Never Walk Alone
03. The Land Of The Dead
04. Followers Of Death
05. Signs Of War