Recensione: Black Waves
Il black metal che sia svedese o norvegese, è identico per la maggior parte del genere umano. Per gli appassionati invece passa un abisso. Il secondo è più tecnico, più strutturato, più deatheggiante, con un senso della melodia meno spiccato. Tanto che non è infrequente che un amante dei Darkthrone cacci dei robusti sbadigli sui Marduk. Insomma, avete capito, oggi si parla di black svedese e più precisamente di “Black Waves”, album (stranamente) di una one-man-band. One-man band che risponde al nome di Svartkonst, ovvero “arte nera” (per chi mastica la lingua di Goethe, “schwarzkunst”). Titolare del progetto, è Richard Törnqvist, cui vanno ascritti due full-length, il primo dei quali uscito nel 2015.
Il sound è quello tipico della Svezia, a metà tra Watain ed Entombed, ma portati avanti con estrema bravura e anche un po’ di farina del proprio sacco.
“Black Waves” è un piccolo compendio del sound di quelle terre, fatto di growl furibondo e tremolo picking. Ci troviamo di tutto. Dall’ottimo black’n’roll di “Death magic” e “World ablaze” fino al memorizzabile ritornello di “I am the Void”. Ci troviamo la furia di “Ruins of splendour” ma anche il quasi post black, malato e minimale di “Stray in the dark”. Troviamo poi la summa di tutto nei 10 minuti della title track, un pezzo imponente e molto intricato, autentico biglietto da visita di tutto l’album.
Incensato da più parti come nuova alba del suo genere, “Black waves” è in effetti un bell’album che tuttavia non porta molto di nuovo. Certo, come si suol dire in campo black, non porta nulla di nuovo ma lo fa molto bene. Svarkonst è tutto quello che ci si aspetta possa provenire dal gelo della Scandinavia. Da tenere d’occhio, nella Speranza che, magari, il disco di rottura arrivi davvero.
Vuoi comprare l’album? clicca qui