Recensione: Black Winter Day

Di Daniele Balestrieri - 22 Giugno 2002 - 0:00
Black Winter Day
Band: Amorphis
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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88

Splendido. Non ho altre parole per definire questo splendido, splendido mini-cd degli Amorphis. Splendido dall’inizio alla fine. L’unico problema? Che è un mini-cd. Se per caso fosse uscito un album che manteneva questo ritmo (e Tales from the Thousand Lakes ci si avvicina molto) ci saremmo trovati di fronte a un capolavoro. Ricordo quando lo comprai, affamato letteralmente di Amorphis, dopo aver sentito fino a farmi sanguinare le orecchie quel capolavoro di Thousand Lakes mi serviva dell’altro, e volevo dell’altro, e per caso in un negozio vidi questa nuovissima uscita degli amorphis (al tempo internet era come se non esistesse, e ci si affidava ai rivenditori e alle riviste/fanzine), dalla copertina davvero eccezionale, dalla produzione curatissima, e lo acquistai senza colpo ferire, e mi trovai di fronte a un gioiello di rara bellezza, che come tutte le cose belle era intenso, folgorante e brevissimo.

Già l’inizio, Black Winter Day. Probabilmente è la canzone simbolo degli Amorphis, probabilmente la più conosciuta in assoluto, e probabilmente, effettivamente, una delle migliori del loro periodo d’oro, in cui suonavano quel black growlato dannatamente finnico, dannatamente freddo, tecnicamente spaventoso, dei tempi di Karelian Isthmus e di Thousand Lakes, in cui quelle tastiere e quei pianoforti facevano da coda a quei chitarroni sferzanti, a quelle batterie così espressive che le canzoni sembravano parlare, mentre si ripetevano, e ripetevano, e ripetevano nell’ossessionante consuetudine finnica dei riff a ruota, che impastano il cervello e inchiodano all’ascolto, ipnotizzano come una droga, mentre varia qualcosa tra la centesima e la millesima ripetizione e il cervello sembra carpirla mentre l’aria viene sferzata dallo spaventoso growl di Tomi Koivusaari. E mentre finisce la splendida Black Winter Day iniziano le tre unreleased: Folk of the North, atmosfericissima strumentale il cui tema portante è scandito da un pianoforte accompagnato da deboli chitarre che non fanno altro che amplificare la sensazione di freddo intirizzito, di solitudine, il tutto in appena un minuto e venti, finché non inizia Moon and Sun, la canzone divisa in due parti che è la fonte principale del mio delirio per questo CD. Senza dire nulla adesso, parliamo della prima parte, della durata di tre minuti e trentasei secondi, in cui si ritorna in piena scuola amorphis-finnica, direttamente dalle fredde lande di Tales from the Thousand Lakes, con l’eccellente growl di Koivusaari, che per me è stato sempre maestro di growl espressivo, quel growl che poi ho ritrovato negli Amon Amarth, al tempo poco più che un’idea nella testa di Johan Hegg.

 

La canzone è bella, melodica, ed è un crescendo continuo di rullanti e chitarre quasi acustiche, finché non si interrompe e non sfocia nella tastiera di apertura di Moon and Sun Part II, North’s Son, che per me rappresenta moltissimi primati ancora imbattuti. Innanzitutto è la canzone che per me, da sola, vale l’intero prezzo di acquisto del mini. Da sola mi sarebbe bastata e avanzata. La considero in assoluto la canzone migliore degli Amorphis, ma di moltissime spanne, e la considero una delle canzoni più significative ed espressive dell’intero panorama heavy/black finnico e scandinavo degli anni novanta. Splendida, mi ha azzannato e trascinato per tutto il tempo, mi ha folgorato per il suo testo così drammatico supportato da colpi di tastiera altrettanto drammatici, che riescono proprio a comunicare quella freddezza spietata del Kalévala, da cui questa canzone attinge a piene mani. Non saprei dove cominciare per descriverla, se dal pianoforte dinamicissimo, sapientemente suonato in accordi dispari, se dalla tastiera di un’espressività magica, teatrale, se dal cantato freddo e spietato di un cantante che non sta growlando su un microfono, ma sta respirando in una vallata ghiacciata, guardando un sole che non scalda e chiamando un figlio che non risponde. È un evento che racchiude lo spirito finlandese nel suo profondo, è un’espressione di una band di veri finlandesi che omaggia le proprie radici growlando il proprio poema nazionale, il Kalevala, con tanta magnificenza di batteria e di grandi chitarre, suonate nel perfetto stile finlandese amorphisiano, ovvero un continuo di riff in ripetizione ossessionante tra di loro, ma sapientemente dosati a regalare una canzone che tecnicamente potrà non lasciare niente, ma psicologicamente è una martellata in testa. Una martellata targata 1994, e scusate se è poco.

 

Mi è giunto all’orecchio, infine, che la versione rimasterizzata di questo EP ha anche la cover di “light my fire” dei Doors. La cover è di eccellente fattura, con l’organetto che sembra uscito direttamente dalla versione originale, con un’ottima cadenza brutal e un growl incredibile… è una vera esperienza, e aggiunge colore all’album anche se ne snatura il significato mitologico. Personalmente sono contento che non ci sia nella mia versione perché non ci azzecca niente con le prime quattro, ma in ogni caso se non vi fate troppi scrupoli è un’ottima addizione.

Ho sentito dire che gli Amorphis sono Death, Black, Heavy, Folk, Power, Prog e Doom. Non so a questo punto quanto vi interessi la classificazione, ma il fatto di Black Winter Day è uno solo: è dannatamente, dannatamente amorphis, ed è un sigillo di garanzia.

 

Il CD dura 13 minuti e 57 secondi, e non so minimamente se si trova ancora e quanto lo faranno pagare. Personalmente non ho rimpianto l’acquisto di questo album in vinile, cassetta e CD, e lo comprerei in qualsiasi altro supporto. Mi rendo conto però che non è un prodotto per tutti, e che dura troppo poco per giustificare un’eventuale spesa magari di 13, 14 euro (prezzo esagerato, ma di questi tempi…). E mi “rode” davvero perché gli darei un voto esagerato, ma devo valutare la sua durata, purtroppo. Veri fans degli amorphis, se vi è piaciuto Thousand Lakes e rimpiangete da anni e anni e anni un prodotto del genere… ora che avrete pianto tutte le lacrime in attesa di un prodotto simile che NON si è più ripresentato nella scena mondiale… fatevi un favore e cercatelo. Ritornerete per una decina di minuti al cospetto dei mille laghi ghiacciati, e non ve ne pentirete.

 

Daniele “Fenrir” Balestrieri

 

TRACKLIST:

1 – Black Winter Day (da Tales from the Thousand Lakes)

2 – Folk of the North

3 – Moon and Sun

4 – Moon and Sun Part II – North’s Son

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