Recensione: Blackwood Creek
Storia molto curiosa quella dei Blackwood Creek.
Una biografia che si perde addirittura nel lontanissimo 1969, quando tre giovani strimpellatori in erba (o per meglio dire, “in fasce”) decisero, per gioco, di fondare una band attraverso la quale sfogare la propria voglia di fare musica, omaggiando – una volta divenuti più “anziani” – i grandi e leggendari gruppi del periodo, dai nomi altisonanti e ricchi di fascino come Grand Funk Railroad, Black Sabbath, Lynyrd Skynyrd e Led Zeppelin. Un percorso, come accaduto spesso, interrotto poi al termine degli studi a causa dei vari impegni personali, destinati a disperdere i componenti in zone diverse degli States.
Tutto normale in fondo, una vicenda comune a mille altri complessi ed a centinaia d’altri artisti.
Non fosse altro che per i nomi coinvolti. Oltre al chitarrista e cantante Pete Fletcher, invero poco noto e sinora responsabile unicamente della fondazione dei misconosciuti Pigmy Love Circus, il resto della line up è, infatti, composto da due personalità certamente di spicco, care a molti rockers di vecchia data: i fratelli Nate e Kip Winger.
Come si suol dire, “non è mai troppo tardi” ed è così che, a distanza di ben quarant’anni, per porre fede ad un impegno preso da giovanissimi, il nucleo dei Blackwood Creek si riforma per la pubblicazione del tanto agognato primo album, aiutato nell’intento dalla credibilità e dal lustro maturati nel tempo dal principale fondatore, il geniale, lunatico ed introverso Kip, tra i più autorevoli ed importanti personaggi della scena hard delle ultime due decadi.
I motivi che animano l’estemporaneo side project sono ad ogni modo, sempre quelli che in epoche remote ne avevano portato alla creazione.
Hard rock robusto e vitale, pennellato da svisate sudiste, accenti settantiani e qualche rara inflessione zeppeliniana, il tutto corroborato dall’innato e particolarissimo senso della melodia di mr. Winger, anche questa volta – come già ascoltato nel recente “Karma” della sua omonima creatura – protagonista di una prova maiuscola sia al microfono, sia in sede di songwriting.
Più divertissement della band madre e quindi, territorio più idoneo a lasciare trasparire sfumature a volte un po’ dissimulate della personalità del singer statunitense – più leggere, certamente più spensierate e meno “contemporanee” – la formazione composta con il fratello Nate e l’amico di vecchia data Pete, ci consegna un’opera diversa dal solito approccio “wingeriano”, ma nondimeno, fornita di attimi piacevoli ed aspetti di qualità utili nel conferire a questo inusuale debut, i contorni di un progetto concreto e non di riempitivo fine a se stesso, privo di valenze artistiche di rilievo.
Sincero e vigoroso, il rock delle energiche “Out In Outer Space”, “Jimmy And Georgia”, “Dead Stung” e “Rack Of Greed” ricollega le fila del discorso con gli amori primitivi del trio, rendendosi protagonista di brani in cui chitarre e ritornelli a presa rapida sono caratteristiche facilmente apprezzabili
Solari e ricche di slanci positivi, sono invece le spensierate, AOR, ed un po’ atipiche (per il Winger recente) “Nothing But The Sun”, “Your Revolution” (dall’approccio quasi onirico), “After Your Heart” e “Albatross”, cui va ad aggiungersi la goliardica e frizzante “Love Inspector”, sventagliata di torrido rock dal particolarissimo e godibile coro, contornato da un incedere roccioso e tambureggiante e da vocals abrasive di buon’effetto.
La chiusura a carico della lieve “Joy Ride” (titolo estremamente indicativo) e di “Wooden Shoe”, etereo omaggio ad atmosfere retrò, suggella un disco che si lascia ascoltare davvero con diletto in tutta la propria lunghezza.
Un regalo fatto probabilmente, più a se stessi che ai fan, si tramuta dunque in un’interessantissima collezione di brani in cui il semplice piacere di far musica rock è risorsa principale di un songwriting non troppo articolato nell’apparenza ma, ad ogni modo, non privo di raffinatezze e grossi quantitativi di classe ed esperienza.
Ben lungi dall’apparire opera dozzinale, Blackwood Creek deve aver divertito molto i tre amici all’atto della sua creazione.
Una gioiosità che traspare dalle note di un album che, ancora una volta, testimonia la statura di un artista forse non tra i più simpatici in circolazione ma, certamente, tra i più creativi, talentuosi e ricchi d’ingegno dell’intera scena hard rock internazionale.
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Tracklist:
01. Out In Outer Space
02. Nothing But The Sun
03. Your Revolution
04. Dead Stung
05. After Your Heart
06. Albatross
07. Jimmy And Georgia
08. Rack Of Greed
09. Love Inspector
10. Joy Ride
11. Wooden Shoe
Line Up:
Kip Winger – Voce / Basso / Tastiere
Peter Fletcher- Chitarra / Voce
Nate Winger – Batteria / Voce