Recensione: Blasfemia Eternal
Secondo album datato 1996 per i belgi Ancient Rites, un gruppo decisamente troppo sottovalutato da molti eppure in grado di sfornare dischi sempre di grande qualità e che con il passare del tempo ha sviluppato sempre più un personale e originale stile. Se il primo cd, il precedente “The Diabolic Serenades”, era decisamente etichettabile come black, e dal genere di riferimento non si scostava se non minimamente, è con questo “Blasfemia Eternal” che si cominciano a piantare i primi semi dell’evoluzione della band che porterà i frutti in un disco, che personalmente considero alla stregua di un capolavoro, come “Fatherland”.
L’album si apre con una intro di 30 secondi, un brano lento e malinconico di chitarra acustica. Gli Ancient Rites hanno dimostrato di realizzare introduzioni spesso molto diverse dal sound del resto dell’album. Quindi non stupisce minimamente che la prima vera canzone del cd sia “Total Misanthropia”, un brano che è fin dal primo istante una aggressione sonora in piena regola, chitarre velocissime e batteria come un rullo compressore per una canzone che nelle intenzioni della band dovrebbe trattarsi della loro risposta a tutti coloro che li odiano, una lezione di come trasformare rabbia e adrenalina in potere.
“Garden of Delights” è una canzone quasi lenta per quelli che sono normalmente i tempi del gruppo belga e presenta un interessante concept alla base del proprio testo, Eva, la prima donna, come rappresentazione di tutte le donne del mondo, da sempre schiacciate, secondo il gruppo, e oppresse dalle religioni, che siano esse la chiesa cattolica o l’islam. Questo tema della lotta contro due delle più diffuse religioni mondiali, il cristianesimo e l’islam, ritornerà spesso in tutto il disco, quasi ad esserne il vero filo conduttore. Interessante notare comunque come anche a livello di testi gli Ancient Rites si differenzino dalla maggior parte dei gruppi black in cui l’attacco al cristianesimo è totale e frontale quasi senza motivazioni, loro invece giustificano con motivazioni e concept più o meno condivisibili le proprie idee.
Una delle canzoni più interessanti dell’album è però la successiva “Quest for Blood”, una delle poche canzoni del gruppo in cui compaiono ampie parti di cantato in francese. Non si tratta però di un testo interamente partorito dalla band, ma della riproposizione in musica di alcuni stralci di una famosa poesia di Charles Baudelaire “La Vampira”. Il risultato devo dire che mi ha per certi versi affascinato, data anche la mia passione e ammirazione per il poeta decadente.
Con “Blood of Christ (Mohammed Wept)” ritorna il tema della battaglia contro alle religioni cristiana e islamica, si tratta di un lungo excursus lungo la storia citando Eva che mangia la mela, la morte di Cristo sulla Croce, Nerone, Napoleone, la morte di Maometto e presenta verso la fine alcuni passaggi in diverse lingue, compreso l’italiano. Cosa il gruppo dica, e sia perfettamente intelleggibile nonostante il cantato quasi growl, non ve lo anticipo, sorpresa!
Dai temi prettamente anticristiani si passa poi nel finale del disco ad argomentazioni che sono quasi tangenti al viking, si parla infatti del passato della terra natia degli Ancient Rites con “Saeftinge” che narra la storia di una regione tra Belgio e Olanda. Una canzone come “Shades of Eternal Battlefields” non ha praticamente bisogno di presentazioni presentando già nel titolo tutto ciò che la riguarda, mentre “Vae Victis” è una esaltazione delle popolazioni che abitavano il Belgio più di 2000 anni fa e definiti da Giulio Cesare nel suo Vae Victis come la popolazione celtica più coraggiosa e temeraria.
Dal punto di vista musicale, come si diceva, questo “Blasfemia Eternal” si discosta dal precedente “The Diabolic Serenades” perchè meno attaccato ai canoni del black più puro. Comincia a fare capolino un uso differente della voce, più vario, non solo growl, ma anche scream e qualche brevissimo passaggio pulito. La produzione inoltre risulta decisamente migliore e più pulita rispetto al precedente cd, ancora legato a un sound sporco e ruvido, caratteristico di molte delle produzioni black più vicine allo spirito iniziale del movimento. Ovvio quindi aggiungere che la migliore produzione permette in questo caso alla band di provare nuove soluzioni sonore, soprattutto nell’uso delle chitarre ora molto più dinamiche e con passaggi più elaborati.
Per concludere si tratta del disco che ha iniziato la svolta nel sound della band belga, un album che però non esaurisce il suo valore in questa caratteristica, al contrario si tratta solo della primo particolare che salta all’orecchio dell’ascoltatore e che contribuisce a spalancargli di fronte l’opera degli Ancient Rites. Una band sempre capace di stupire grazie alla straordinaria qualità delle proprie composizioni e dell’originalità del proprio sound. Un disco da avere per tutti gli appassionati di questo gruppo fin troppo sottovalutato.
Tracklist:
01 Blasfemia Eternal
02 Total Misanthropia
03 Garden of Delights (EVA)
04 Quest for Blood (Le Vampire)
05 Blood of Christ (Mohammed Wept)
06 Epebos Aionia
07 (Het Verdronken Land van) Saeftinge
08 Shades of Eternal Battlefields (Our Empire Fell)
09 Vae Victis
10 Fallen Angel
Alex “Engash-Krul” Calvi